Questo articolo nasce dal voler fugare il dubbio, all’incauto lettore o fruitore di sport odierno, che le cose un tempo collocate chi sa quando in una mitica età dell’oro, fossero migliori e che si sono poi corrotte successivamente. O al contrario, vittima di un inguaribile ottimismo tecnologico-modernista, vede egli nel passato un certo chè di oscurantistico, assegnando solo all’uomo di oggi il merito di aver dipanato i veli dell’ignoranza e della pochezza.
Non so voi, cari lettori, ma io mi pongo dinanzi ai nostri trisavoli sempre con grande umiltà e rispetto; con devozione, che però non deve essere eccessiva. Un metodo giusto per affrontare le cose credo sia sempre quello del confronto storico, senza affrettarsi a conclusioni che invece voglio lasciare a ciascuno di voi.
Stabilito il metodo, passiamo ai contenuti.
Quello che noi uomini del XXI secolo chiamiamo Sport, è sicuramente esistito anche nell’antichità .
Quando gli eroi di Omero non guerreggiavano, spesso si dedicavano al lancio del disco e del giavellotto; tirano con l’arco, si esibiscono con dei battelli, giocano a palla, ecc. Questi giochi, che già possiamo chiamare sportivi, hanno il carattere di quella gratuità che troveremo in tempi più vicini a noi, nel gentiluomo inglese per esempio, che pratica la sua caccia per diporto, per desport, per passatempo insomma, o come diciamo noi oggi: per sport. Ma i giuochi fisici e le connesse cure del corpo dell’atleta sono solo l’evoluzione di ciò che sicuramente era presente in epoche precedenti. Da figure rappresentate su alcune coppe si evince chiaramente come nella Civiltà cretese esistesse il pugilato; così come tra gli Egizi del XV secolo fosse già in uso la lotta.
Nella Grecia antica dominava, nell’incontro tra due atleti, lo spirito dell’areté. Vale a dire il senso morale, supremo, che doveva permeare il proprio comportamento in guerra. In conseguenza di ciò gli esercizi fisici e naturalmente le gare acquisivano una valenza di spirituale religiosità : miravano a trascendere la condizione umana, ad entrare in un modo extraumano. Da ciò si può comprendere come il Demos era escluso dal partecipare a competizioni cui all’inizio potevano prendere parte solamente dei privilegiati, i Kòroi.
Del resto c’è da capirli, questi antichi: la guerra non cessava mai e gli esercizi erano di natura postmilitare e premilitare. Se l’areté permeava lo spirito degli ateniesi democratici, figurarsi a Sparta, società guerriera per antonomasia. L’areté qui non è più un fatto individualistico, ma siidentifica con il sacrificio supremo per la salvezza della patria. Ed è lo Stato che si preoccupa di formare il cittadino che ora è e lo sarà sempre nella sua vita un soldato, ben addestrato, rotto a tutte le fatiche fisiche e privazioni. I corpi, gli animi, venivano forgiati in vista di quell’unica attività considerata la norma e non un eccezione: la guerra. Perfino le donne erano avviate ad esercizi quali la lotta, la corsa, il nuoto, lancio del disco e del giavellotto.
Ciò premesso, se vogliamo tentare un confronto tra due momenti storici distanti ormai 2800 anni, dobbiamo riferirci a quella istituzione che lo rende pertinente: le Olimpiadi.
Esse nascono nel 776 a.C., come è noto (anno in cui all’atleta Corebo fu dedicata una statua per la sua vittoria). Iniziano con semplici gare di corsa e si andranno ad arricchire già nel 648 di altre specialità , quali corse nello stadio, corse di fondo, ecc.; pentathlon, pugilato, lotta. Nel VI secolo si aggiungono nuovi Giuochi come quelli Delfini, Istmici, Nemei.
Ma qual era lo spirito che dominava questi giuochi? A tutti i bambini di età scolare è sempre stato insegnato che durante le Olimpiadi si attenuavano le tensioni internazionali. Questo è certamente vero. Ma quello che per noi è più interessante è che accanto a quello spirito omerico di cui discorrevamo sopra (areté), troviamo sciovinismo, mancanza di imparzialità , eccitazione, esaltazione dell’atleta vittorioso; al quale veniva innalzata addirittura una statua a spese dello stato.
Da qui al professionismo il passo è breve, del tutto obbligato, dato il prestigio presso le “masse” che assumeva l’atleta vittorioso. Ma a veder bene lo spirito olimpico imperniato sul supremo valore dell’areté deve essersi ben presto attenuato tanto da ricevere già nel V secolo severe critiche da autori quali Senofane e Galeno (medico oltre che filosofo) i quali rimproverano all’atleta il suo tempo eccessivo ad allenarsi, la sua stupidità . Ma è pur vero,che già con Ippocrate, la medicina entra, per così dire, nella logica dello sport. Egli è fautore di una scienza dei regimi ( vedi “Corpus Hippocraticum ): l’esercizio, la ginnastica, l’allenamento, vengono visti sotto un aspetto medico; la malattia consegue quando si altera l’equilibrio tra ciò che l’uomo riceve e ciò che dà ( trattato “Sul Regime” ).
Come si può vedere da questa troppo breve trattazione, nello sport moderno noi possiamo ampiamente rintracciare quelle linee fondamentali già presenti nell’antichità . Ma andiamo avanti e arriviamo con un gran balzo alle Olimpiadi Moderne. Tutti sanno che il maggiore fautore dei giochi olimpici dell’era modera (1896) è il barone Pierre de Coubertin; sebbene avesse degli importanti precursori nel fiorentino Matteo Calmieri (XV secolo), nel tedesco Guts Muths e soprattutto nell’inglese Thomas Arnold, di cui parlerò dopo.
P. de Coubertin volle far rivivere i fasti della mitica Olimpia, affascinato dagli scavi condotti dai francesi e dai prussiani. Già nel 1884 egli aveva proposto alle autorità sportive francesi di realizzare il progetto di far rivivere o di continuare quei giochi definitivamente soppressi da Teodosio. Fu quindi costituito il CIO, comitato olimpico internazionale, e una Carta Olimpica, tuttora in vigore. Al motto di “Citius, altius, fortius” si organizzarono le prime olimpiadi moderne secondo un cerimoniale rimasto sostanzialmente invariato e improntato ad un totale dilettantismo. E’ chiaro che con il tempo questo carattere un po’ aristocratico dei Giochi e l’ortodossia dilettantesca degli atleti, si perderanno in epoca odierna in favore di una manifestazione di tipo “open”, aperta cioè¨ ad atleti e discipline sportive che praticano sia il professionismo che il dilettantismo. Quella del Barone non è una semplice operazione nostalgica per un passato comunque morto e “disseppellito”; egli, a mio avviso, compie una operazione di altissimo profilo culturale: mantenere unita e diffondere nei valori migliori, la Cultura occidentale attraverso lo sport, i giovani, in grado essi di infrangere tutte quelle barriere che la storia ha creato artificiosamente. Non a caso egli si scaglia contro l’uso “sciovinistico” possibile delle vittorie, contro il professionismo o il razzismo. De Coubertin vede nello sport l’individualità piuttosto che l’individualismo degli uomini e delle nazioni; la voglia di celebrare un rito pacificatore attraverso i giovani di un mondo in perenne contrasto. Io vedo, in quello del Francese, il tentativo di realizzare un’utopia che finchè è durata tale non è stata. Un utopia o una sfida: sfida pedagogica? Io che sono un insegnante sarei propenso a vedere in lui un maestro, che si farebbe comunque carico di insuccessi che forse non sempre dipendono da lui.
Del resto ho detto che de Coubertin ebbe degli importanti precursori, tra questi un insegnante professionista: Thomas Arnold.
Siamo nel 1824, Thomas viene nominato rettore al college di Rugby. Nelle scuole pubbliche secondarie inglesi allora regnava il caos, l’anarchia, diremmo noi oggi il bullismo, la, prepotenza degli alunni più anziani e forti sui più deboli. Occorreva porvi rimedio. Arnold allora vede in quello che poi sarebbe stato il gioco del Rugby un modo per chiamare alla solidarietà di squadra i partecipanti, dando a se stessi, autonomamente delle regole. Infatti egli è fautore di un self-governament scolastico e quindi sportivo, visto quest’ultimo come momento soprattutto pedagogico. Nasce lo sport britannico moderno con caratteristiche educative che si estenderà a tutte le discipline praticabili in ambito scolastico, secondo lo stile dell’antico gentlemen. Il Maestro voleva così formare la gioventù rinforzandone il corpo sviluppando un senso morale e autorevole della personalità pur nella gratuità . Lo sport qui non si pone al servizio della nazione ma di quello che possiamo chiamare “crescita della persona” ; e ciò che sembra futile, gratuito appunto, viene ad assumere un ordine del tutto diverso tanto da definire poi uno stile di vita.
Ma se non dobbiamo dimenticarci che lo sport moderno nasce in Occidente grazie all’idea pedagogica di almeno due importanti personaggi, dove è rintracciabile la fine di quella filosofia che troviamo sintetizzata in frasi come: “l’importante è partecipare” di P. dE Coubertin, o nella gioia che ognuno prova o ha provato nell’indossare una maglietta colorata con stampati i simboli del proprio club?
Potremo parlare del darwinismo sociale che finisce con il dare anche allo sport quella forma temperata e socializzata di lotta per l’esistenza. Ai giorni nostri poi sempre di più lo sport è visto nell’ambito del progresso. Esso ne è indissociabile. Ed abbiamo quindi la corsa al record con l’aiuto della medicina sportiva rappresentata da veri e propri scienziati che si pongono al servizio del risultato troppo spesso come assistenti al doping. Ma il tempo impiegato per coltivare la mente viene tolto al corpo. Viene fatta una operazione pazzesca, contro ogni morale pedagogica e sociale, di tipo schizofrenico, che consiste nel separare il corpo dall’intelligenza del giovane, alimentando il primo a spese della seconda. E abbiamo come risultato molti atleti che smesso di praticare sport si avviano alla decadenza anzitempo come moltissimi pugili, ma anche calciatori, ecc.
L’intuizione degli antichi, fondamentale, è stata quella di tenere unite sempre in qualche modo la “mente” e il “corpo”. In realtà la psicologia moderna (Piaget ed altri) ha bene evidenziato la corrispondenza biunivoca che c’è nello sviluppo del bambino tra intelligenza e corpo.
E aggiungerei: non solo esso sport deve essere una esclusiva dei giovani.
Lo sport è un modo di essere dell’uomo, portato naturalmente a competere e confrontarsi secondo precise regole, pena la sua impossibilità . Provate ad assistere ai giuochi dei bambini nei parchi, dove meglio può essere osservato il loro comportamento allo stato puro. Dopo un po’ che si agitano, bisticciano, ecc., ben volentieri ricorreranno ad un adulto, che li aiuti a poter continuare nella loro partitella, a garanzia di norme minime che regolino il gioco. E se lo sport è un modo naturale e simpatico di stare al mondo, perchè non continuare a praticarlo per sempre? Sì, per sempre, nella seconda età e nella terza, ecc. Oggi possiamo vedere che esistono molti atleti anziani, validissimi, che frequentano senza nessun problema le decine e decine di corse di fondo che si praticano ormai in tutto il mondo nelle più svariate discipline (atletica, sci, ecc.); e per fortuna anche nel nostro paese che in fatto di sport “amatoriale” (i governi) non ha fatto mai nulla; e che è nato spontaneamente grazie all’iniziativa di appassionati.
Per i moderni, in conclusione, lo sport non deve avere un ruolo semplicemente occasionale. Ma come al tempo degli antichi greci esso deve avere, per i giovani o per i meno giovani diambo i sessi, quel carattere costitutivo di una condizione morale e fisica al tempo stesso. E’ questo l’insegnamento dei Maestri che dobbiamo liberamente seguire. Ma in realtà ci siamo spesso allontanati da questo modello antropologico. Oggi infattidel Parma prende un ingaggio di cinque milioni di euro all’anno per fare la riserva, per sedere in panchina? E questo è un modello che si offre ai maschietti, analogo a quello che si fornisce alle bambine che normalmente nei loro temi scrivono che da grandi vorrebbero, fare quasi tutte, le “veline” o le “cantanti”; senza togliere nulla alla rispettabilità di tali professioni. lo sport è dominato dall’idea del professionismo dalla più tenera età ; fin da quando un giovane dovrebbe trovare in se stesso tutte le motivazioni per fruire della gioia di correre, gareggiare e partecipare. Ma come si fa quando egli sente, ad esempio, che un giocatore di calcio come il pur bravo Nakata
Ormai lo sport, come ogni ambito delle professioni o della vita nazionale (occidentale) è caduto nella spirale dell’industrialismo e del consumismo. Si badi bene, qui non voglio fare una critica grossolana a ciò che ci permette comunque di vivere secondo un modello di libertà e di poter esercitare dei lavori che altrove sono sconosciuti, mancanti, con conseguente aggravio di disoccupazione. Ma certamente non è edificante ridurre tutto alla stregua di una merce compreso ciò che dovrebbe essere gratuito, libero, al di fuori diogni condizionamento come lo sport che dopo tutto resta un gioco anche se si manifesta come impegno fisico in una competizione sportiva. Il doping è una conseguenza di tutto ciò. Perché se noi chiediamo ad un atleta di superare se stesso di continuo -perché è questo in ultima analisi ciò che fa vendere il prodotto- dietro l’incentivo del denaro, egli se avrà qualche possibilità di essere competitivo come richiesto dal sistema alla fine cadrà nella rete coscientemente o anche quasi inconsapevolmente, dal momento che gli accordi presi in precedenza con la sua società , prevedono sempre un tacito o esplicito consenso alle “cure” mediche, vedi il ciclismo in modo particolare.
L’autore, Massimo Mannocci (nato il 1-04-46), è un insegnante di materie letterarie nella S. M. S. di Maccarese (Rm). Egli è altresì il più anziano, in servizio, triathleta italiano tuttora praticante questa disciplina.