Pensiamo di farvi cosa gradita, iniziando qui, a pubblicare, dei racconti a sfondo sportivo ( ma non solo) che , alla luce delle attuali cronache, possono aiutarci a comprendere il significato della parola SPORT.
Buona Lettura
Livio Berruti affrontava la curva dei suoi Duecento metri in maniera impeccabile. Il ventunenne occhialuto studente di chimica produceva una falcata aggraziata, leggera, quanto potente e progressiva. Io stavo lì, come altri milioni di italiani incollato al mio televisore, da solo: non avevo cercato compagnia, non volevo che ci fosse nessuno che mi disturbasse. Il mio cuore batteva all’impazzata e si stava convincendo che sarebbe impazzito ancora di più per quello che sarebbe potuto succedere. I finalisti usciti dalla curva erano ora praticamente appaiati, ma alla fine l’Olimpico esplose per salutare la vittoria del nostro atleta che uguagliava anche , con20”e cinque decimi, il record del mondo in questa specialità. Fu una cosa eccezionale, indescrivibile; una gioia che non avrei più provato nella mia vita per una vittoria italiana, neanche per quella ottenuto dalla nazionale di calcio di Bearzot, nel1982, inSpagna, terzo alloro mondiale. Mi alzai, feci più volte il giro del mio giardino urlando di gioia, me lo ricordo come fosse adesso: aveva vinto; avevamo vinto!
Fu una vittoria, quella di Berruti, che mi segnò profondamente. Straordinarie, quelle Olimpiadi romane! irripetibili, lì, a casa nostra, così visibili e spettacolari nella loro grandiosa semplicità, perché valorizzate da contesti storici e naturali, da bravi atleti volenterosi, nel ciclismo, nel pugilato, ecc., che ne avrebbero fatto l’ultimo bel prodotto sportivo artigianale prima della loro trasformazione in fenomeno da baraccone e soprattutto commerciale.
Allora, io quattordicenne, nuotavo alla S.S. Lazio Nuoto e il mio sogno era quello di diventare un campione, partecipare ad una Olimpiade, come molti ragazzi della mia età; un sogno che si sarebbe rinnovato, anche in seguito; lancinante, ma che era difficile che si potesse avverare. In quegli anni era difficile fare sport, soprattutto nuoto. Gli impianti non erano così numerosi come sono oggi, né c’era la disponibilità di mamme o nonne a tutto servizio che ti potevano baloccare da una parte all’altra della città: Roma, sempre in preda al caos del traffico, alla carenza dei mezzi pubblici, con lunghe distanze da percorrere. Pensate. In quel periodo abitavo all’EUR (periferia ovest) e andavo a scuola al Nazareno, situato al centro della capitale, in una traversa di via del Tritone. La mattina mi dovevo alzare praticamente di notte per prepararmi e prendere il “93”, che percorreva la via Cristoforo Colombo. Ricordo che era sempre strapieno e spesso mi sentivo male e vomitavo, dal momento che ho sempre sofferto di mal d’auto. Dopo di che dovevo prendere un altro paio di mezzi, tra cui il “56” o il “63”, se ben ricordo, che mi avrebbero portato a destinazione, a scuola, sempre in ritardo, stanco e svogliato. Il ritorno era ancora più drammatico, specie nel periodo più caldo dell’anno scolastico. Tornato così a casa dalla scuola, dovevo fare in fretta i compiti e poi ripartire per andare in piscina allo stadio Flaminio o al Foro Italico, prendendo mezzi su mezzi, sia all’andata che a ritorno!
E’ chiaro che non durò molto. Abbandonai il nuoto ufficialmente e mi dedicai anzitempo ad altri sport che potevo praticare con più facilità: la corsa, il calcio, la bicicletta, il nuoto libero e di fondo l’estate, talvolta al lago di Bracciano, quando ci andavo in gita con la mia famiglia; ovvero al laghetto di Bertuccioli, alla foce del Canale delle acque basse di Focene, dove i tafani la facevano da padrone. Ben presto divenni però un multiatleta e successivamente, in età più tarda, una triathleta, della triathlon Ostia, fondata da me insieme ad altri amici (e siamo al 1984).
E l’Olimpiade? La possibilità di una partecipazione diveniva sempre più astratta, rimasi come in attesa di un evento che si allontanava sempre di più dalla mia vita di atleta dilettante (allora non esisteva il professionismo negli sport olimpici). Per farvi capire certi stati d’animo, voglio ricordare un romanzo che appartiene al mondo dei classici moderni: Il deserto dei Tartari di Dino Buzzati (1940) che generò in me, quando lo lessi, profonda amarezza e riflessione. Come molti di voi sapranno, Il romanzo segue tutta la vita di Giovanni Drogo, dal momento in cui questi, ventunenne pieno di ambizioni, arriva alla Fortezza Bastiani, sua prima destinazione dopo la recente nomina a tenente. E’ ultimo avamposto ai confini settentrionali del regno, luogo desolato dominato da una pianura chiamata appunto deserto dei Tartari. Da molti anni nessun attacco è più giunto da quel fronte, e la Fortezza, si è svuotata ormai della sua importanza strategica; ciò avrebbe potuto dare un senso agli anni spesi inutilmente in quel luogo.
Anche Drogo, è preso da questa malefica speranza di una futura gloria che lo condurrà per tutta la vita ad una rassegnata attesa. Fino alla beffa finale: proprio nei giorni in cui i nemici, finalmente, avanzano verso il confine, Drogo dovrà lasciarela Fortezza, dopo oltre trenta anni dal suo arrivo, non più giovane, minato da una malattia che non gli consente di proseguire oltre la vita militare.
Ma sarebbe stato così anche per me?
No, non lo sarebbe stato: ciò ha dell’incredibile! E mi invita ad una riflessione profonda.
In termini di probabilità quante ne avrei avute da allora per partecipare ad una Olimpiade? Praticamente zero. Eppure zero non esiste in questo mondo, magari zero virgola. E’ questo valore, così basso, infimo, che fa sì che il tempo si annulli, che ci dia l’indicazione che ciò che avviene lungo una scala diacronica, temporale (verticale), in realtà si svolga in una dimensione circolare in cui gli avvenimenti si mescolano e si ripropongono in maniera inesorabile e sostanzialmente identica. E’ solo il nostro corpo che cede a quello che noi chiamiamo tempo, ma non l’essenza di noi, che resta intatta nei suoi aneliti, pensieri, progetti, seppur nascosti in fondo ad un cassetto e pronti a vedere di nuovo la luce alla prima occasione.
Ma voi mi chiederete del perché di questo panegirico. Ebbene, ciò che sarebbe sembrato impossibile ad ogni mente normale, in realtà si sarebbe realizzato più di cinquant’anni dopo da quei fatidici anni sessanta.
Siamo ora nel 2013. Come sempre è nello spogliatoio della piscina dove mi alleno come master, l’Aquatic Forum Roma, che si colgono umori e si conoscono le novità. Faccio ad Andrea:
- Ad agosto si disputeranno le Olimpiadi Master.
-Dove? –risponde d’istinto.
-A Torino; e si chiameranno World Masters Games, di Torino, appunto.
Vincenzo, sta lì vicino, si sta infilando le mutande e perde un po’ l’equilibrio e per poco casca.
-Io ci sto- risponde senza mezzi termini.
-Anch’io ci voglio andare- echeggia Giorgio dall’altro capo dello spogliatoio mentre si passa il fon sulla sua brizzolatissima, folta capigliatura.
In quel frangente passa Danny che è appena uscito dalla doccia.
-Io ho già l’alloggio: sarò ospitato da un mio amico che ho a Torino- dice intromettendosi di diritto nella conversazione, mostrando di saperla lunga sull’argomento.
E presto è fatto! La squadra master del Forum, avrà la sua degna rappresentanza in questa gara internazionale: le Olimpiadi master. Siamo cinque moschettieri, e Dumas ci perdonerà se ne abbiamo aggiunto uno ai canonici quattro. Età di ciascuno: Massimo (io) sessantasette; Giorgio, settantacinque; Vincenzo, sessantacinque, Andrea, sessantacinque; Danny, quarantacinque; praticamente un pischello. Ma il grido di battaglia è sempre quello: Tutti per uno, uno per tutti. Alle brutte, se non dovessimo combinare niente, ci faremmo lo stesso una bella fotografia con la bandiera italiana: “Ma sì: andiamo!” Il mio antico sogno si sta realizzando?
Come sempre in queste manifestazioni importanti, prego la mia consorte -che è anche mia manager- di aiutarmi nell’iscrizione, che si presenta a tratti complessa e oscura. Ma la tenacia e la perseveranza sua hanno di gran lunga la meglio su ogni risvolto burocratico. Ben presto mi trovo regolarmente iscritto. Inoltre Rossella manifesta il legittimo desiderio di accompagnarmi, insieme a Floriana, mia figlia, per poter visitare una città che offre molte opportunità turistiche, tra cui il secondo museo egizio del mondo (il primo è naturalmente al Il Cairo) e tant’altro. Prende i contatti, su internet, col proprietario di un appartamentino situato al centro storico, nei pressi di piazza Castello.
Non vi saranno problemi, se non quelli paventati dalle ZTL, che però verranno aggirate grazie al loro annullamento per il periodo dei giochi e perché avremo la fortuna di posteggiare la nostra auto in un condominio per tutto il tempo necessario.
I miei amici invece si servono di una organizzazione sia per l’iscrizione che per l’alloggiamento. Le mie gare saranno: 800 s.l.; 200 misti; 200 dorso; 400misti; 400 s.l.; triathlon sprint (750 metri in piscina; 22 Km in bicicletta; 5 Km di podismo).
E siamo al giorno della partenza: carichiamo i bagagli nella parte posteriore della macchina comprimendoli un po’. Posiziono la bici sul portabiciclette avendo cura di abbondare di cinturini ferma ruote e verificando
più volte la sua tenuta complessiva: i chilometri da percorrere sono tanti, circa 640; e come ci hanno insegnato i nostri maggiori: melius abundare quam deficere. Ha inizio una nuova avventura.
Il viaggio non ha scossoni, la velocità di crociera è tra gli ottanta e i cento; talvolta inavvertitamente, specie sulla autostrada dopo Genova, tocca i 110, ma mi devo ricordare che ho sopra la bicicletta e decelero subito.
Ad una sessantina di Km dalla destinazione, ci fermiamo all’autogrill, dove riceviamo un degno conforto culinario ad un prezzo che riteniamo onesto, approfittiamo per chiamare il signor Giovanni, il proprietario dell’alloggio da noi affittato, che ci indica la strada conclusiva una volta entrati in città. E ‘ una spiegazione apparentemente semplice, ma si rivelerà l’esperienza più complessa di tutta la spedizione. Infatti il centro di Torino, dove siamo destinati noi, è un intrigo complesso di divieti e obblighi e si rischia di girare in tondo alla meta finale. Ma come: non era, la Julia Augusta Taurinorum, un castra romano e che come tale si sarebbe sviluppato con il caratteristico impianto urbanistico reticolare, tipico delle città romane , cioè costituita da un decumano maggiore, un decumano minore, e poi da tante strade che si incrociavano ad angolo retto? Sicuramente sarà stato così, ma dall’ultima volta che ci sono stato, la viabilità è cambiata di molto fino a stravolgere la città che però ora è dominata da numerosi mezzi pubblici a modesto impatto ambientale e da una rete tranviaria eccellenti, che noi poi utilizzeremo alla grande.
Ma in qualche modo, dopo molte peripezie e molte ore di viaggio giungiamo alla meta. Il signor Giovanni si fa trovare nei pressi di piazza Castello e ci conduce praticamente per mano a via san Tommaso dove alloggeremo. Scarichiamo la macchina, subito dopo verrà posteggiata in un condominio poco distante in linea d’aria, ma che per essere raggiunto nel rispetto dei divieti, che dicevo, occorreranno una ventina di minuti! Ma per il resto tutto bene.
Ci sistemiamo nell’appartamentino che si presenta molto accogliente; fa caldo, molto caldo e mettiamo subito in azione i ventilatori di cui sono dotate le stanze.
Abbiamo una certa urgenza perché bisogna necessariamente andare al Padiglione cinque per prendere l’accredito personale, documento necessario per partecipare alle gare, entrare gratis ai musei statali, viaggiare ugualmente gratis sui mezzi pubblici e poter avere degli sconti nei negozi convenzionati.
Raggiungiamo quindi la fermata del “67” sita in piazza Solferino; di passaggio, osserviamo come qui quasi tutte le vie e piazze sono in aria risorgimentale; ciò non può che farci piacere, dal momento che in alcune regioni del nord, sembra si respiri (ma sarà poi vero?) aria secessionista.
Il Padiglione cinque è un immenso capannone dove sono posizionati ai lati i vari stand preposti alle informazioni sulle rispettive discipline sportive (trenta), che riguarderanno i circa ventimila concorrenti, provenienti da ben 108 paesi del mondo: 3000 dall’Australia, 2800 dal Canada, e solo 2200 dall’Italia. Numerosi sono comunque anche i neozelandesi, i centroamericani, russi, tedeschi, ungheresi; persino giapponesi.
Da questo momento già si respira aria di Olimpiade, il clima è sereno, si fanno subito delle conoscenze; la lingua è naturalmente l’inglese, quasi tutti lo parlano o lo masticano, me compreso, in grado di dire le famose due parole…per farsi mandare a quel paese; ma ci si intende benissimo.
Evase le pratiche per l’accredito, riceviamo in omaggio maglietta, cappellino e un bellissimo zaino, con simboli e didascalie che si richiamano alla manifestazione. La maglietta risulterà però un po’ piccola per me, dal momento che alla fonte l’organizzazione non ha calcolato che per i nuotatori, per esempio, spesso si è in presenza di toraci robusti. Ma va bene così. La gentile signora, volontaria addetta all’ufficio accrediti, per farsi perdonare regala due cappellini a Rossella e Floriana, che orgogliosamente vengono subito da loro indossati.
Nella città si respira un clima di festa controllata. Del resto la partecipazione prevede atleti dai trenta- trentacinque anni in su, a seconda delle discipline. Arriviamo a piazza Castello appena in tempo per partecipare all’ultimo atto del corteo di saluto che aveva percorso le strade del centro. Ovunque si vedono uomini e donne in abiti sportivi con il caratteristico contrassegno dell’accredito al collo. Due maxi schermi proiettano le immagini del corteo. Ovunque, nelle strade, nella piazza, sventolano bandiere e striscioni che ricordano la manifestazione che sta per avere inizio. E io già comincio a pensare alle mie sei gare, soprattutto agli Ottocento s.l. che dovrò disputare il giorno dopo; ma non sono affatto preoccupato: comunque vada sarà quella la mia gara, quella per cui, insieme al triathlon, sono venuto fin qui.
Rossella e Floriana sono contente e questo per me, dopo tutto, vale di più. Torino poi si conferma con noi tutti molto ospitale. E’ facile scambiarci delle cordialità ogni volta che si chieda una informazione, si entri in un negozio: c’è veramente un clima amichevole, di grande rispetto e ho la netta convinzione di fare la storia, quella vera, senza armi, né inganni di trattati, o invasioni, ma con il rispetto e con la gentilezza di un sorriso e la comprensione per i problemi di chi lavora e vive in questa città: questo è il mio atteggiamento di base: del resto, sono un master!
E siamo al giorno della mia prima gara, gli Ottocento s.l.
Vado a raggiungere la fermata del tram numero “4”, che dista un paio di cento metri dalla mia abitazione. Il mezzo però non passa e allora decido di entrare in una grossa bottega artigiana che serve pane lavorato, dolci caserecci e dove è possibile anche pranzare o acquistare prodotti da tavola calda. Chiedo rispettosamente ad una ragazza, assai graziosa e sorridente informazioni a riguardo. Lei a sua volta interpella quello che ha l’aria di essere il suo principale, il quale mi rassicura sul servizio del mezzo di trasporto. Ma subito dopo mi chiede informazioni sui W.M.G. e sul mio sport. Mi fa degli auguri sinceri. Io gli prometto che, se vincerò una medaglia, tornerò al suo negozio, con la mia famiglia. Gli auguri vengono rinnovati, ma sta passando il “4” e mi trasferisco in fretta alla fermata.
Certo sarebbe bello vincerla, una medaglia, si coronerebbe un sogno, quel sogno, di cui parlavo sopra e che non ho potuto mai realizzare e che mi permetterebbe di andare oltre la partecipazione. Ma adesso pensiamo alla strategia da tenere in gara. Per prima cosa ci vorrà un buon riscaldamento di almeno una ventina di minuti, nei quattro stili, terminando con lo s.l. Dovrà seguire un lungo stretching fuori vasca, intervallato da movimenti decontraenti. Durante la gara sarà bene partire a ritmo sostenuto: dovrò sentire un po’ male alle braccia e il cuore palpitare almeno intorno ai 110-120 battiti. Al massimo spero di arrivare ai 135, oltre ai quali non vado, per questo sono un fondista da 5000 e più metri. Respirerò come sempre, ogni tre bracciate, talvolta, nel finale, ogni cinque, per tenere un po’ più di aria nei polmoni; non ho problemi di fiato, non ne ho mai avuti, anche grazie al mio allenamento aerobico intervallato da tratti più veloci.
Al comando di take your part (a posto…) mi aggancio come sempre al bordo del blocco con le mani incastrate per il pollice. Sono molto attento a non fare errori di movimento che potrebbero causare una automatica squalifica. Dopo il segnale acustico mi getto cercando di bucare l’acqua salvaguardando la esatta posizione degli occhialini precedentemente schiacciati e fissati con vuoto d’aria sul viso, grazie a continue leccate e insalivate sul complesso occhi-naso. Ma va tutto bene: ora sta a me! (perché, prima a chi stava?). I primi cento metri passano in compagnia dei miei avversai. Sono presenti in batteria varie classi di età, per cui non è facile scovare i concorrenti. Sulla corsia di destra ho un messicano, non alto, ma assai muscolato; avevamo scambiato in Camera di chiamata qualche parola, si chiama Matteo ed è inutile dire che per tutti gli italiani era diventato Don Matteo, con buona pace di Terence Hill (Mario Girotti), anche per la sua aria da parroco di campagna. Mi aveva proposto uno scambio di maglia, ma la mia non la cedo a nessuno, è azzurra e ha lo scudetto tricolore cucito sul petto! Forse si sarà un po’ offeso, ma gli parlo bene degli Aztechi, come grande civiltà precolombiana e forse mi salvo in calcio d’angolo, perché lui concorda e sorride.
Dopo quattro vasche, delle sedici da percorre, non lo vedo più al mio fianco, quando è così vuol dire che un avversario o se ne andato o te ne stai andando tu. Me ne stavo andando io. In poco tempo avevo frapposto fra me e i miei presunti avversari – di cui non avevo completamente certezza della categoria- un bel margine. Alla fine arrivo secondo in batteria, il primo era già uscito, ma ho creduto subito si fosse trattato di uno assai più giovane, che probabilmente aveva dato un tempo di iscrizione più alto, per ragioni sue e che non intendevo sindacare, anche se il suo comportamento era stato discutibile sotto il profilo sportivo; dal momento: che senso c’è vincere la propria heat (batteria) contro dei vecchietti, se poi le classifiche sono per categoria?
Per ora non sono andato male, non mi resta che attendere l’esito della successiva heat.
Mi avvedo subito, nella nuova partenza che c’è una nutrita presenza di M6, la mia categoria. Quella che sembrava una speranza, comincia a vacillare, ma bisogna aver fede ed è il momento giusto per averla. La prova si conclude, per alcuni, nel migliore dei modi: ho paura di non essere andato più in là del quarto o quinto posto complessivo. Ma rimango in attesa che finiscano tutti gli Ottocento e che così venga redatta la classifica complessiva finale per categorie. Ma qualcosa o meglio qualcuno dentro di me mi dice (sempre Marcelino, il bimbo che mi cammina a fianco, mio angelo custode), che posso sperare in qualcosa, ma voglio una conferma e vado da Loredana, funzionaria della FIN addetta al controllo concorrenti nella Call Room e successivamente all’elenco dei premiati. La paziente signora non rinnega le sue origini romane del quartiere di San Giovanni sentendo il mio spiccato accento, sebbene trapiantata a Torino e mi dà la bella notizia: sono terzo, medaglia di bronzo! Il mio vecchio cuore (vecchio solo perché ha già fatto circa due miliardi di battiti) prende a battere ad un ritmo superiore a quello della gara.
Un risultato insperato, mi sembrava di aver nuotato bene, ma non così tanto da salire sul podio. Ora mi pento di non aver portato la mia vecchia bandiera: uomo di poca fede! Ma mi pento anche di non aver sollecitato Rossella e Floriana a venirmi a vedere, forse sono ancora in tempo, vado negli spogliatoi, sbagliando naturalmente corridoio e finendo in quello delle donne che comunque non battono ciglio, tanto ci sono ormai abituate! Chiedo scusa, ma non mi risponde nessuna. Esco, giro l’angolo e sono davanti al mio armadietto ben vincolato dal lucchetto. Recupero quindi il cellulare tra occhialetti e cuffia di riserva, indumenti intimi, scarpe ed altro.
-Se non avete niente da fare, venite, chè io sarei premiato! – dico con la massima nonchalance- fra una mezzoretta ci sarà la mia premiazione- ribadisco- basta prendere il “4” che vi porterà alla fermata Filadelfia, la piscina è in fondo sulla sinistra, dovrete attraversare la strada.
Di lì a poco ho la conferma ufficiale del mio risultato. Lo speaker pronuncia l’invito ai nomi che verranno invitati sul podio, sia in inglese che in italiano. Non ci sono ormai sorta di dubbi, non solo ho partecipato ad una Olimpiade, seppur Master, portando a termine una gara, ma sono andato, come diciamo noi concorrenti, anche a medaglia. E non è finita, devo disputare altre cinque prove, compreso il triathlon l’ultimo giorno, chissà se ci scappa qualche altra cosa.
Le mie due donne giungono in tempo per la premiazione. Floriana si scatena con la macchina fotografica; la stessa cosa fa il fotografo ufficiale della manifestazione. Piccole cose, insignificanti per i grandi uomini, ma che a noi gente comune serve per vivere il fatidico giorno da leone. Seguono abbracci e baci, ringraziamenti, complimenti per tutti, anche per chi non conoscevi e che ora conosci nel migliore dei frangenti.
Quando cala il sipario sulla prima giornata di gare, lascio a malincuore il Palanuoto. In tram racconto a Rossella l’episodio del negoziante alla fermata dell’andata. Decidiamo di andare a fare un po’ di spesa proprio nel suo negozio e a fargli vedere la mia medaglia di bronzo, appena conquistata.
Appena sceso dal “4” mi precipito nella bottega, ma non trovo il proprietario né la ragazza. Ce n’è un’altra che potrebbe essere la sorella e chiedo di loro. “Mi dispiace, non ci sono, provi domani mattina” . Mi assicura però che riferirà.
L’indomani, di buon ora mi presento alla solita fermata del mezzo pubblico. Mi avvicina una signora che poteva avere una sessantina d’anni, accompagnata da un uomo probabilmente suo marito. Mi chiede in inglese informazioni sul tragitto del tram, soprattutto se va a via Filadelfia. “Ci sto andando io” –rispondo-, basta seguirmi e vedere dove scendo. Poi mi confessa che ha intenzione di andare a vedere delle gare di nuoto che si dovrebbero svolgere proprio lì al Palanuoto. Grande è la sua meraviglia quando la informo che sono un nuotatore master e sto andando proprio lì per partecipare alla mia seconda gara del mio programma.
A quel punto la gentile signora mi si rivolge in un italiano perfetto, anche se con un leggero accento tedesco alla Ratzinger. Ha capito che sono italiano, del resto lo scudetto tricolore sulla mia maglietta e il mio cappellino a strisce bianco-rosse-verdi, non lasciavano dubbi. Mi presenta il discreto signore che le sta accanto, come suo marito, di Torino. Lei è tedesca, ma che è venuta a vivere in Italia dopo il matrimonio.
Mentre il tram si lascia desiderare ben oltre il quarto d’ora, la nostra discussione si fa sempre più interessante: io mi presento come ex insegnante di italiano in pensione, la stessa cosa, la signora, ma di tedesco. Non so come il nostro discorso finisce sull’Europa, sulla Merkel, per cui non sembra- lei tedesca- stranamente avere molta simpatia; ma si parla anche dei governi italiani e della figura di Berlusconi, per il quale la simpatia sono io a non averla. Ma proprio mentre la discussione si sposta sui futuristi e su Bergson per la nozione di tempo vissuto e tempo spazializzato, ecco che ti salta fuori il famoso proprietario del giorno prima, con la sua ragazza. Mi salutano, mi abbracciano, mi fanno i complimenti perché sono salito sul podio. Dico loro che sono io che devo ringraziarli perché mi hanno portato fortuna; ancora saluti e abbracci e un arrivederci a presto, poi entrambi rientrano in fretta nel loro negozio, i clienti non potevano attendere. I miei interlocutori precedenti son esterrefatti e si fanno convinti che io sia un personaggio sportivo di rilievo e mi esternano a loro volta dei complimenti (a questo punto eccessivi).
Durante il trasporto fino a via Filadelfia, la nostra discussione sui vari argomenti riprende, sempre con la massima serenità fino agli spalti della piscina e sarà una delle cose che serberò più volentieri nella mia memoria. Lascio poi a malincuore questa cortese coppia di pensionati, ma è tempo di prepararmi per la gara e dimentico di scambiarci gli indirizzi. Ma rifletterò in seguito sulla forza dello sport (quello vero), come strumento di apertura e di conoscenza e in ultima analisi, di pace.
La mia gara non sarà un granchè, un quarto posto, comunque accettabile dato il buon livello dei miei avversari soprattutto tedeschi e russi. Ma questa è un’altra storia.
I due giorni successivi li dedico alla visita della città e in serata a leggeri allenamenti di nuoto. La mattina dopo, presto, all’alba, esco per tenere in esercizio le gambe e il fiato a piazza Solferino per una sgambata di un’ora e mezzo al parco pubblico: devo cominciare a pensare seriamente anche alla gara di triathlon, l’ultimo giorno. Lì mi trovo in compagnia di alcuni barboni che sdraiati sulle panchine smaltiscono probabilmente la loro sacrosanta bevuta del giorno prima. Alcune anziane signore portano a spasso il proprio fedele cagnolino e quando mi incontrano lo richiamano a sé assicurandomi: “E’ buono, non fa nulla”. Anche qui a Torino ho occasione di avvedermi che i cani sono, come a Monaco di Baviera piuttosto di piccola e media taglia, assai disciplinati e certamente non di razza ariana, insomma, vanno di moda i meticci, che più meticci non si può.
E’ inutile quindi descrivere una città che molti di voi conosceranno. Mi limiterò a suggerire agli eventuali visitatori di percorrere le vie del centro per lungo e per largo, sotto i portici, attraversando le piazze, visitando i numerosi musei tra cui svetta naturalmente quello Egizio, il più importante dopo quello de Il Cairo , ma anche, per esempio, quello di Antichità (nazionale archeologico), del Risorgimento, dell’ Automobile, del Cinema; e poi Palazzo reale, Palazzo Madama. Per gli appassionati di calcio c’è anche il Museo della Juventus; noi abbiamo anche visto la famosa Venarìa, residenza di caccia- in realtà una vera e imponente reggia- dei Savoia, recentemente restaurata dopo grave degrado e fruibile ora da parte del pubblico.
Mi decido quindi di sentire per telefono Andrea, per conoscere l’andamento delle gare nei due giorni precedenti sue e degli altri compagni. Un successone: Andrea ha preso un bronzo sui 200 s.l., Giorgio due medaglie di bronzo e una d’argento, Vincenzo una di bronzo e un argento; considerando la mia siamo a quota sette medaglie, che diventeranno otto il giorno successivo quando la conseguirò io nei 400 misti. Bisognerà fare una bella fotografia e affiggerla all’ingresso del Forum, dal momento che ci sentiamo un po’ risentiti per lo scarso credito che abbiamo avuto finora dalla nostra società. Ci diamo un appuntamento per sabato, ultimo giorno di gare, dedicato alle staffette: “portare tutte le medaglie e maglietta dei giochi”.
La foto, grazie ad una fotografa d’eccezione, mia figlia Floriana, riuscirà benissimo, nonostante le facce che si ostinerà a fare Andrea, che non può fare a meno di scherzarci su. Ma questa che vedete di seguito è carina e molto patriottica.
La staffetta poi vedrà quarta la nostra squadra che, per un solo secondo, sfiora la medaglia di bronzo, preceduta dagli americani; e in questi casi vale il proverbio: E’ mejo anna’ ‘n campagna quanno piove che perde ‘na partita [a briscola, n.d.a.] a cinquantanove. Ma sono stati bravi lo stesso (io non c’ero).
Si chiude la kermesse di nuoto, durata in tutto una settimana. Ora per me ci sarà- l’indomani- il triathlon. Dovrò al più presto andare al Padiglione cinque dove ci sarà alle diciotto la consegna dei numeri di gara e il briefing, la riunione tecnica, in cui verranno illustrati i percorsi di gara e ricordate le regole fondamentali cui attenersi scrupolosamente, pena la squalifica (casco obbligatorio, etc.].
Al Palanuoto, nel pomeriggio, avevo incontrato Herbert un compagno di avventura tedesco della mia categoria che io avevo pensato fosse russo, tanto che lo chiamavo scherzosamente Baffone, Baffo, per la sua somiglianza col personaggio storico. In realtà egli era un cordiale signore che, guarda caso, aveva finora disputato le stesse identiche mie gare, battendomi sempre di poco. Neanche a dirlo avrebbe fatto anche il triathlon, ma mi informava nel suo stentatissimo inglese e buona mimica, che pur essendo iscritto alla gara non vi avrebbe partecipato a causa di una fastidiosa tosse che evidentemente gli impediva di respirare bene. Provai sinceramente rammarico per lui, tanto mi ero abituato alla sua presenza in gara, ma al di fuori di ogni ipocrisia: era un temibile concorrente di meno!
Il percorso esposto durante il briefing nelle due lingue, italiano e inglese, si presenta all’apparenza assai complesso, cosa che poi non sarebbe stata così. Cerco comunque di mandarlo a memoria il più possibile, specie nei punti chiave costituiti dai saliscendi, dalle curve, dal termine del giro e inizio del nuovo.
Arrivo poi a dimora e mi preoccupo di preparare l’equipaggiamento per il giorno della gara, la mattina successiva. Il casco per prima cosa, il body, le scarpe, l’Enervit (carboidrati) che regolarmente dimenticherò di prendere; il Pass. Decido poi di correre questa volta con la maglia della triathlon Ostia, la mia società; ma sulla maglietta Rossella aveva già cucito una simpaticissima Italietta, a forma di stivale tricolore: sono sicuro che Egidio, il mio presidente, mi avrebbe approvato per entrambe le cose. Poi verifico la bicicletta, ma la pompa ha ben pensato di smettere di funzionare proprio ora, succede sempre così, meno che te la spetti. Provo a smontarla, ma non c’è speranza, mi si apre un problema serio. Ma poi mi viene in mente il proverbio: è più facile non trovare un fucile in una battaglia che una pompa in una gara ciclistica. E il vecchio adagio dei ciclisti mi darà ragione, ma dovrò svegliarmi presto, buttare giù dal letto il signor Giovanni l’indomani, andare a recuperare la macchina, caricare le valigie che già stiamo preparando e giungere al raduno, prima del trasferimento dei concorrenti alla vicina piscina comunale Parri. E la vecchia pompa? Nel secco indifferenziato!
Giungiamo sul luogo del raduno la mattina successiva e ci preoccupiamo di non incorrere in qualche ZTL. In tal senso i vigili, da noi interpellati, ci rassicurano: nessun problema è domenica.
Un giovane atleta sui 35 anni, mi presta la sua pompa. Decido di caricare il pneumatico a sei atmosfere. Non mi fido di mandarlo fino ad otto come fanno gli altri. Una volta, stavo a Barcis, in Friuli, mi scoppiò la camera d’aria che fece fuoriuscire addirittura il copertoncino anteriore in discesa e in curva; riuscìì miracolosamente a controllare la bici cadendo solo nel finale. Andranno bene sei atmosfere, non saranno due punti in più o in meno che mi faranno vincere o perdere.
Posizioniamo, noi concorrenti giunti alla spicciolata, le bici nella prima zona cambio prevista, quella della piscina. Io sto al centro, vicino ad un albero spennacchiato, ho il numero 167.
Entro in vasca e inizio subito il solito mio riscaldamento di un quarto d’ora, venti minuti. Poi ben presto veniamo invitati ad uscire per procedere alla chiama dei concorrenti secondo le varie categorie. Io sono insieme a dei miei coetanei alla corsia numero uno, accanto a me una bella concorrente M3 si fa ammirare per la sua avvenenza; viene da Auckland, Nuova Zelanda, le faccio i complimenti e lei diventa tutta rossa. Il fotografo del settimanale Visto, ci fotografa insieme: chissà che fine avrà fatto quella fotografia!
Ci sono ancora dei minuti per sistemare tutte le corsie da parte delle giurie e per la consegna delle cuffie per facilitare il conteggio delle vasca da parte del personale addetto.
Entro in acqua per primo, dal momento che si è deciso, dietro breve accordo da Palio di Siena, che io sono il più veloce, e sarà così. Al fischio di partenza parto fortissimo, deciso a non far passare nessuno. Ben presto mi avvedo che ogni tre o quattro vasche, doppio i miei avversari e sono alle prese con i sorpassi, che consistono nell’aumentare al massimo l’andatura ed evitare di collidere frontalmente con quello che ti viene in senso contrario. Ma le manovre mi riescono bene, sempre. Solo una volta becco una gomitata all’avanbraccio sinistro a muscolo teso, la cui contusione mi durerà per diversi giorni, ma sono cose che capitano.
La mia prova di nuoto è sontuosa, tanto che Floriana ne rimarrà meravigliata, come il suo vecchio padre possa ancora andare tanto forte sulle distanze più lunghe. Esco come terzo di tutta la vasca di concorrenti, vado di corsa alla bicicletta e mi trovo in strada da solo, senza riferimenti umani, ma so che devo girare a sinistra, andare sempre dritto fino ad una curva distante un migliaio di metri e poi inserirmi nel circuito che mi porterà alla fine del mezzo giro e da lì contarne quattro. Sono all’interno del Parco del Valentino, bellissimo; il percorso si presenta quasi tutto ombreggiato, ricco di lievi saliscendi, curve a gomito protette da transenne e balle di fieno, ma perfettamente leggibile e sicuro. Non sono ammesse le scie, i giudici sono stati categorici: non drafting.
Spingo sui pedali come non mai, ma so di non essere ben allenato e occorre prudenza, la gara può essere impegnativa dato il percorso molto tecnico.
Come avevo purtroppo previsto verso il finale vengo regolarmente ripreso da quattro miei diretti avversari, con l’inequivocabile contrassegno a pennarello M6 sul polpaccio. Alla seconda zona cambio situata un Km e mezzo dalla piscina, parto però insieme a quello che si sarebbe classificato quarto. Gli sto dietro alle calcagna per quasi tutta la gara. Avanti a lui ci dovrebbe essere non molto distante quello che sarebbe arrivato poi terzo, provo a spingere, ma le ginocchia artrosiche mi limitano il ritmo che non va oltre i 5 minuti a Km. Qui si vede la mancanza di lavori specifici durante l’anno, più per infortuni che per negligenza, ma sono venuto qui veramente per concorrere nel W.M.G.; ma alla fine resterà ugualmente il rammarico per una gara che si sarebbe potuta addirittura vincere, al limite, mi avrebbe potuto portare ad una medaglia, se solo fossi stato sul mio standard normale; ma è anche vero che ognuno avrebbe potuto dire la stessa cosa.
Alla fine taglio il traguardo soddisfatto, applaudito da tutti, soprattutto dalla mia fotografa personale.
Sì, sono contento! perché ho fatto nel complesso la cosa giusta, se fossi stato troppo prudente avrei tradito lo spirito della competizione; se fossi stato troppo intraprendente, avrei rischiato di infortunarmi e avevo ben presente che c’erano da lì a poco, 640 Km in macchina da percorrere fino a casa.
I miei World Masters Games per me si andavano concludendo, anche se c’era da aspettare l’esito della classifica ufficiale che avrebbe confermato il mio quinto posto.
Nel complesso ho conseguito due medaglie di bronzo, tre quarti posti nel nuoto; un quinto posto nel triathlon: ma sì, che andata bene! Il mio antico sogno, si era realizzato. Il tempo aveva compiuto il suo giro e mi ero magicamente ritrovato al punto in cui il vortice della vita inizia di nuovo: chissà, tra una cinquantina d’anni le Olimpiadi le potrò vincere davvero! Ma per ora mi accontento.
E come sempre lascio i luoghi di gara provando già nostalgia. Ma il mio desiderio di tornare a casa è grande. Io non sarò mai un apolide viaggiatore, posso andare ovunque, ma le radici sono insieme ai pomodori che coltivo e che mi stanno ad aspettare per essere innaffiati. Ciò non toglie che al termine di questa mia esperienza sportivo-culturale, mi verrebbe voglia di gridare viva l’Italia, a tutto merito dello Stato Sabaudo e naturalmente di Torino che tanto ha dato al nostro Paese e alla nostra libertà, anche quella di permetterci un giorno di partecipare semplicemente a queste gare sportive, se non fosse un po’ scontato, forse retorico. Lo sarà forse, però, lo sapete che vi dico? Viva l’Italia!!!
Massimo Mannocci, 2013