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Continuano i racconti  tratti da "Vita da Master" di Massimo Mannocci, questa volta impareremo come attraversare lo stretto di Messina.

Vi assicuro che sarà un impresa "Omerica".

Era il mese di gennaio .Avevamo finito appena un allenamento alla piscina del Forum, nostra sede naturale, quando Dario mi dice:

-Che fai, vieni a fare lo Stretto?

-Quando…? dove…? come…? rispondo imbarazzato.

-Il cinque di agosto, ma per l’iscrizione dobbiamo pensarci adesso, se vogliamo avere qualche probabilità- aggiunge.

-Certo che vengo, sono anni che voglio andarci, le ho fatte tutte, le gare…mi manca solo questa.

- Siamo, oltre tu ed io, Michele, e forse  un altro del Forum che io non conosco- chiarisce.

Vi spiego. Iscriversi alla Traversata dello Stretto di Messina, classica gara internazionale di nuoto di fondo di 5,2 Km giunta quest’anno [2012, n.d.a.] alla 48° edizione, non è una cosa semplice per nessuno. Vi sono infatti  numerosissime richieste che gli organizzatori non possono evadere proprio per la natura della gara. Essa infatti richiede la presenza di un numero di barcaioli pari a quello dei concorrenti, che dovranno accompagnare gli atleti per tutto il percorso. Per cui gli organizzatori danno una data e un orario precisi, praticamente un appuntamento ed aprono le iscrizioni, prendendo i primi 100 e non di più; chi c’è, c’è; e precisamente così composti: 25 categoria assoluti maschi e 25 assoluti femmine; 25 master maschi e 25 master femmine. Gli altri ritardatari si mettono in coda e potranno comunque essere “ripescati” in caso di successive rinunce. Il bello è che la regolarizzazione definitiva si sa solo nel mese di giugno (la domanda si fa per l’anno nuovo) e cioè un paio di mesi prima del 5 agosto, giorno della gara.

-Dell’iscrizione se ne occuperà Michele, che ne seguirà l’iter tramite internet- conclude Dario.

Ma lasciate che vi presenti questi miei compagni di squadra. Innanzi tutto Dario, architetto 47enne, siciliano, ma residente a Roma da una vita. Michele, fisico, studioso dell’elettromagnetismo, lavora all’ENEA ed è professore universitario. Quando non lo si vede in  piscina e in palestra, vuol dire che è in giro per l’Europa a tenere conferenze, Scozia, Svezia, ecc. La sua famiglia è originaria di Castellammare di Stabia; è un master 45, molto compatto, estremamente serio e appassionato, di grande semplicità ed umiltà come si conviene ad un vero scienziato. Solo da quest’anno è approdato alla nostra società e sono lieto che anche io, avendolo conosciuto sui campi di gara del nuoto di fondo, possa averlo invitato a far parte del nostro bel gruppo. Manca Roberto, di  nota famiglia antiquaria, che spesso è impegnato all’estero per lavoro (aste, ecc.) e purtroppo Mauro, per motivi personali che non è necessario riferire, noto esperto dell’INGV e anch’egli professore universitario.

Questa in pratica è la nostra “squadretta di fondo”, come la chiamo io, che gira un po’ per l’Italia e non solo (traversata dello Stretto del Bosforo, ecc.) e che spesso si distingue se non per numero di partecipanti, per valore individuale. Dimenticavo, colpevolmente, mister Craig, americano doc, un pezzo d’uomo tra l’uno e 85 e l’uno e 90; biologo marino, anch’egli si è aggiunto al nostro gruppo quest’anno: un grande acquisto. La sua caratteristica, oltre la passione e la serietà, è il suo carattere tipicamente americano: compagnone, leale con i compagni, dispensatore di continue pacche sulle spalle ed incoraggiamenti; non parla granché la nostra lingua, ma tra noi l’inglese non è sconosciuto. La sua presenza  ci dona un tocco di internazionalità, di cui siamo tutti fieri. Ha grande esperienza di traversate, addirittura  nel pacifico (??). Sì, ci sarà anche Craig, ma si  iscriverà da solo, appena sarà sicuro di poter venire, libero da impegni di lavoro.

Comincio quindi a procurarmi informazioni,  facendo domande a Dario e Michele, sulle difficoltà che potrei incontrare –io neofita- dato che loro questa traversata l’hanno fatta più volte; e soprattutto a Vincenzo. Chi è Vincenzo? Vincenzo è un mio quasi coetaneo. E’ nato proprio a Messina e vive a Roma; ed è soprattutto un veterano dello Stretto. Egli si vanta, a pieno titolo, di essere l’unico al mondo ad aver percorso l’intero tragitto sul Dorso. Infatti la sua specialità è proprio questa nuotata e poi ha vinto vari titoli italiani di categoria, quindi è uno bravo: “ubi maior minor (io) cessat”.

 Egli mi comincia, però, subito a tracciare un quadro a tinte fosche.

-Ti conviene innanzi tutto viaggiare per mare, imbarcandoti a Salerno con la macchina- mi fa.

-La mia intenzione era andarci in macchina, del resto sono solo…730 Km da casa mia- rispondo d’impulso.  --Cosaa?!, ma non hai mai sentito parlare della autostrada Salerno-Reggio Calabria? Io una volta c’ho messo 17 ore per arrivare all’imbarco di Villa San Giovanni!- Mi risponde seccamente.

D’accordo, ha ragione, andrò in aereo, fino a Reggio Calabria dopo di che prenderò un mezzo fino a Villa San Giovanni, dove è situata la location. Sguinzaglierò al momento opportuno mia moglie su Internet…

-Ma poi- fa ancora Vincenzo-  tu che pensi di trovare a Villa! Non c’è nulla, è solo un ex villaggio di pescatori; ti rigiri e trovi solo qualche abitato, non vi sono taxi.

-Praticamente è come nei film western classici caratterizzati da uno scenario desolante in cui il vento fa da accompagnamento ai protagonisti prima del duello finale- aggiungo costernato.

Le cose si complicano; e come spesso succede, la programmazione di una gara risulta essere più difficile della gara stessa di qualunque difficoltà o lunghezza sia. Ma a questo punto sono deciso ad andare avanti con caparbietà, dote essenziale per uno sportivo e per di più fondista, altrimenti non si porterebbe a termine nessuna gara. Mi informo ancora e mi si fa strada l’idea di prendere il treno, il tanto bistrattato treno, che resta lì, amico fedele di mille occasioni. Ma Vincenzo insiste, stavolta ci mette il carico da undici : -E poi le meduse! E’ pieno di meduse, quelle piccole orlate di viola, estremamente urticanti, nuotano a branchi e sono difficili da evitare. Ma la cosa fondamentale da considerare nella traversata dello Stretto è data dalle correnti: se becchi la corrente sbagliata non riesci a muoverti: possono arrivare fino a 9-10 Km all’ora; fondamentale sarà il Barcaiolo che dovrà  essere estremamente responsabile e competente da saperti guidare per tutto il percorso.

Comincio ad operare una prima sintesi. Viaggio impegnativo per raggiungere la location; luogo: privo di servizi essenziali come, mezzi di trasporto urbano; meduse; correnti…e chissà che altro. A questo punto, sempre più deciso ad andare avanti, mi informo presso Dario e Michele, che non mi fanno un quadro così drammatico della situazione. Anzi Michele mi suggerisce, per incoraggiamento, un albergo dove alloggerà lui, a tre stelle, con uso di un ristorante a base di pesce. La cosa mi piace, tolto però il pesce che io non mangio anche se  può fare piacere a mia moglie, ma non mi importa. Il fatto che io non mangi pesce si può considerare sotto un duplice aspetto. Primo, ereditario, DNA paterno; per lui infatti valeva il detto:”Il pesce sta bene sott’acqua”. Perfettamente d’accordo! Per il secondo, c’è da notare che io gareggio spessissimo in mare e mi sento un ospite di coloro (i pesci) i quali sono i  naturali utenti del salato liquido e non vorrei contrariarli per poter essere magari ricambiato…con un altro atto di cannibalismo, da parte loro.

L’atteggiamento di Vincenzo, messinese, anche se naturalizzato romano, lo valuto  di amore-odio verso quella terra che gli dette i natali sessantaquattro anni fa, costringendolo forse a cercare fortuna altrove, trovandola peraltro. Debbo quindi togliere degli “interessi bancari” alle sue dichiarazioni anche se poi i suoi consigli comunque si riveleranno utili. Il problema è ora per me scegliere il mezzo di trasporto, affrontare il tema delle meduse, e cercare di saperne un po’ di più su queste benedette Correnti dello Stretto; ne ho sentito parlare troppo e bisogna assolutamente verificarne l’entità.

Inizio ad affrontare il primo punto: il trasporto. Rossella, mia moglie, una volta a casa  si mette subito al computer e tramite OPODO, individua l’Eurostar, che si fermerà a Villa San Giovanni. Occorreranno sei ore, ma che mi importa tanto guida il macchinista: vada per il treno; l’aereo, mezzo da me preferito, costa troppo e poi arriva a Reggio, che dista 15 Km da Villa. Qui giunti cercheremo una macchina-taxi, ce ne sarà pur una! In alternativa andremo al Boccaccio due, l’albergo da prenotare consigliato da Michele, a piedi, dopo tutto sono solo…tre Km dalla stazione.

Un problema, grazie a Rossella, sembra proprio risolto. E quello delle meduse?

In un successivo allenamento, mi consiglio con Andrea, vero e proprio “teorico” del costumone. E’ noto che ormai le nuove normative lo hanno messo fuorilegge, con l’eccezione delle gare in acque libere, purché non siano gommati, e senza chiusure lampo o gancetti. E’ evidente l’intenzione dell’industria di continuare a vendere un costume intero, a qualcuno, assai costoso con qualche complicità di regolamento federale. Ma dov’è finito il genio italico? Si può sempre modificare una tipologia precedente in cotone (di Costumoni ne venivano commercializzati anche di fibra non gommosa) fornita però di gancetti e chiusure lampo, ora comunque proibite. Mi viene in soccorso appunto Andrea, mio compagno di squadra, di corsia, mio avversario, mio consigliere, mio amico, insegnante come me in pensione: ne ha due uguali e uno non lo usa più: basterà modificarlo a termine di regolamento. Risolto anche il problema delle planctoniche figlie di Forco e Ceto, vale ore la pena di fare ulteriori riflessioni meno tecniche e più antropologiche.

Innanzi tutto mi viene da pensare sul perché lo Stretto abbia terrorizzato gli antichi a tal punto da far nascere storie angosciose per i naviganti che timorosamente osavano il suo attraversamento. Le leggende sono leggende, si dirà; però c’è sempre del vero. La mia idea, che è anche quella di studiosi accreditati, è che certi racconti mitici in realtà sono un modo per dare spiegazione a certi fenomeni in mancanza di giustificazioni scientificamente provate. Gli antichi, per ciò che ho potuto constatare io, non ragionavano per metafore, ma i loro riferimenti erano del tutto concreti e per loro plausibili. Alla fine poi, tutto dipendeva dagli dei, assai capricciosi, che si divertivano a giocare talvolta con gli uomini. Ma partiamo da Omero che così descrive  il mostro nel luogo (Reggio Calabria) del passaggio della ciurma di Ulisse [Odissea, XII, 112 e sgg. N.d.a.] 

Scilla ivi alberga, che moleste grida

Di mandar non ristà. La costei voce

Altro non par che un guaiolar perenne

Di lattante cagnuol: ma Scilla è atroce

Mostro, e sino a un dio, che a lei si fesse,

Non mirerebbe in lei senza ribrezzo,

Dodici ha piedi, anteriori tutti,

Sei lunghissimi colli e su ciascuno

Spaventosa una testa, e nelle bocche

Di spessi denti un triplicato giro,

E la morte più amara di ogni dente.

Con la metà di se nell'incavo

Speco profondo ella s'attuffa , e fuori

Sporge le teste, riguardando, intorno,

Se delfini pescar, lupi, o alcun puote

Di Que' mostri maggior che a mille a mille

Chiude Anfitrite nei suoi gorghi e nutre.

Né mai nocchieri oltrepassaro illesi:

Poichè, quante apre disoneste bocche,

Tanti dal cavo legno uomini invola.

Non ne è da meno Virgilio, secondo cui  Scilla fu trasformata in un essere che dal petto in su aveva sembianze di donna mentre dal petto in giù  aveva sembianze di lupo e di pesce.

Così dall'Eneide (III, 681-689)

Scilla dentro a le sue buie caverne

Stassene insidiando; e con le bocche

De' suoi mostri voraci, che distese

Tien mai sempre ed aperte, i naviganti

Entro al suo speco a se tragge e trangugna.

Dal mezzo in su la faccia, il collo e 'l petto

Ha di donna e di vergine; il restante

D'una pistrice, immane, che simili

A' delfini ha le code, ai lupi il ventre.

 

Scilla però, secondo la leggenda, non era stata sempre un mostro di tali fattezze; ma una splendida ninfa, che trascorreva i suoi giorni nel mare, giocando con le sue compagne e non aveva nessuna intenzione di fidanzarsi respingendo tutti i pretendenti.

Ma poi sopraggiunse Glauco, dio del mare, che s’innamorò perdutamente di lei e che naturalmente  rifiutò. Ma  il dio non poteva permettere tale rifiuto e andò dalla maga Circe e le chiese un filtro d’amore. Ma, colpo di scena, la bella maga s’innamorò a sua volta di lui!

E lui? Lui: niente. Aveva sempre in testa la bella Scilla. E che ti fa la Maga? Si fa rodere dalla gelosia e pensò bene di trasformare la rivale Scilla in un mostro con dodici piedi e sei teste, nelle cui bocche spuntavano tre file di denti. Intorno alla vita aveva appese teste di cani che abbaiavano e ringhiavano ferocemente. Scilla era pure immortale e diventata mostro si nascose in una spelonca dello stretto di Messina, proprio davanti a Cariddi, altro personaggio poco raccomandabile di cui tra poco ci occuperemo. Fatto è che quando i naviganti si avvicinavano a lei, con le sue bocche li divorava.

Cariddi invece è un mitico gorgo dell’estremità settentrionale dello Stretto.

Descritto come un mostro figlio di Poseidone e di Gea, succhiava l’acqua del mare e la risputava tre volte al giorno con tale violenza da far naufragare le navi di passaggio. Cosa significativa che ci indica la ricorrenza puntuale di certe correnti di cui diremo più avanti.

Odisseo, dovendo passare necessariamente tra i due mostri, preferì avvicinarsi a Scilla poichè Cariddi avrebbe causato sicuramente la distruzione delle navi.

Sin dai tempi più remoti, lo Stretto di Messina è  sempre stato un luogo ricco di suggestione e di fascino che ha contribuito significativamente a creare i tanti miti ad esso connesso. La sua navigazione, infatti, ebbe nell'antichità una bruttissima fama e  realmente presentava notevoli difficoltà, specialmente per le correnti rapide ed irregolari, specie per navigli di modesto cabotaggio.

Anche i venti vi spiravano violenti e talora in conflitto tra loro. A volte, le correnti raggiungevano una velocità notevole e scontrandosi davano luogo a enormi vortici  che sicuramente  terrorizzavano i naviganti. Quello di Cariddi (colei che risucchia), si forma davanti alla Spiaggia del Faro e l'altro di Scilla (colei che dilania), si forma sulla costa calabrese da Alta Fiumara a Punto Pizzo. Questi due vortici, ben noti fin dall’antichità, derivano dall'urto delle acque contro Punta Peloro e Punta Torre Cavallo. Per questo motivo,  tutti i naviganti stavano lontani da questi luoghi, tutti tranne il mitico Ulisse che spinto dalla sua proverbiale curiosità si mise dei tappi di cera nelle orecchie e si fece legare dai suoi compagni all'albero della sua nave  per non ascoltare il canto delle sirene che affollavano questi mari e per vedere in faccia i due mostri.

Quindi per i nostri progenitori, i pericoli c’erano e come!, nell’attraversare questo braccio di mare. Certo avevano barche, come detto, di il piccolo cabotaggio, per navigare per il mediterraneo costa costa fino al successivo approdo, spesso indicato da un ben visibile faro.

E noi moderni, che viaggiamo sì,  negli spazi siderali, come possiamo pretendere di fare a nuoto senza particolari pericoli quel braccio di mare che tante anime spedì nell’Ade? Ce lo dice un numero, il “48”: che sono le volte che la gara, con data 2012, verrà disputata.

Arroganti siamo? Temerari? O semplicemente coraggiosi appassionati del nuoto di fondo? Le chiacchere stanno a zero. Nessuno sfida il Padreterno; nessuno può fare una cosa superiore alle sue forze; ma come si dice: “Ci si mette in gioco”. E poi il fascino dello Stretto! Onore al re di Itaca! che tutti abbiamo sempre ammirato e un po’ invidiato quando eravamo sui banchi di scuola.

Bene. Vediamo se c’è dell’altro. C’è! c’è! Da una rapida ricerca sulla fauna marina, si scopre che nei fondali, che variano da un centinaio di metri a molto di più, vivono specie atlantiche tipiche dei fondali più profondi, pesci inusuali a vederli in fotografia, che avvalorerebbero la fantasia popolare qualora si rinvenissero spiaggiati sulle coste. Sono per esempio gli Organismi batiali, tipici delle profondità atlantiche presenti anche nello Stretto, piccoli mostri, come per esempio il Pesce accetta o ascia d’argento o il pesce diavolo.

-Figurati! Tra poco, scommetto, dirai che: Ci sono anche gli squali.

- Sì, anche se le dentute bestiole, sembrano comunque  non abbiano morso nessuno (finora).

 Se ho ben capito ce ne sono di due tipi: il  Carcharodon Carcharias più  noto come squalo bianco autore di un attacco registrato ad un pesce spada durante una battuta di pesca, il 7 agosto 2010 a Ganzirri (Messina), dai fratelli Arena, noti pescatori, dell’omonimo villaggio.

L’ Hexanchus griseus o Squalo Capopiatto.

Le cronache del 8 luglio del 2012 riferiscono appunto di uno squalo di questo ultimo tipo spiaggiato sulla costa messinese vicino Scaletta. Questa è una specie piuttosto comune nello Stretto. Ha la caratteristica, oltre alla testa piatta, di avere gli occhi verdi ed essere di tipo abissale, si nutre di seppie o piccoli pesci e non attacca l’uomo (menomale!), ma se mi si dovesse presentare a fianco non potrei di certo chiedergli i documenti: credo che batterei ogni record di corsa “a piedi” sull’acqua!

Lo Stretto in effetti funziona come una autostrada del mare per molte specie mediterranee che traslocano dal Tirreno allo Ionio. E questo è anche il motivo della ricchezza e del rinnovo delle più svariate specie di pesci.

Finora c’è n’è per dar ragione agli antichi. Ma basta così. Sto facendo dell’autoterrorismo natatorio. In realtà la sfida si fa sempre più emozionante, perché di sfida si tratta. Del resto io sono amico dei pesci: non li mangio! perché dovrebbero mangiare me? “Io vengo in pace, fratello pesce! Tienilo in conto quando mi immergerò nel cortile della tua casa”.

Risolto, per così dire, almeno a livello informativo il problema ittico, cerco di affrontare quello tecnico; cioè circa le difficoltà che gli antichi naviganti, ma forse anche i moderni, paventavano o debbano talvolta affrontare nella navigazione. Inizio la mia ricerca. Quello che scopro è assai interessante e di importanza fondamentale sulle Correnti.

Come già mi aveva messo sull’avviso Vincenzo, ricordate? il mio compagno di squadra di origine messinese, esperto nuotatore dello Stretto, i problemi principali soprattutto per un nuotatore sono appunto dati dalle correnti  tipiche di questo braccio di mare. Esse furono sistematicamente studiate fin dal 1882 da parte di F. Longo, comandante di navi mercantili, un vero e proprio esperto. Ma fu la nave Marsigli della Marina Militare Italiana che tra il 1922  e il 1923 sotto la direzione del prof. Vercelli, direttore dell’Istituto Geofisico di Trieste, che compì delle ricerche sistematiche che portarono a costruire le Tavole di Marea dello Stretto, ovvero previsione di correnti, vale a dire velocità e direzione, per esempio tran Punta Pezzo (Calabria) e Ganzirri (Sicilia). Queste tavole hanno avuto successivi aggiornamenti ed hanno ancora una validità sostanziale.

Come sappiamo, lo Stretto di Messina è il punto di separazione tra i due bacini del Tirreno e dello Ionio che pur nella contiguità hanno caratteristiche fisico-chimiche  ed oscillatorie diverse. Ciò porta ad avere correnti stazionarie e di marea complicate dalla geomorfologia dell’intero bacino. Basti pensare che quando il Mar Tirreno presenta bassa marea al confine nord del canale, nel Mar Ionio si ha alta marea e viceversa; si può arrivare quindi ad un dislivello di ben 27 cm. Si vengono quindi a determinare due correnti principali, Scendente (nord-sud)  e Montante (sud-nord). Inoltre c’è da considerare che si genera anche un altro fenomeno contemporaneamente di affondamento delle acque ioniche all’altezza Ganzirri-Punta Pezzo su quelle tirreniche più leggere, causando ulteriori perturbazioni alle acque. E’ proprio qui che la Sella (il monte con relativo canyon che costituisce l’orografia sottomarina in questo tratto di mare) manifesta la minore profondità dell’acqua (120 m) e la minore ampiezza dello Stretto. Per cui Le tabelle orarie  aggiornate in epoca attuale da F. Mosetti (1995)  con assoluta precisione ci danno ragione del movimento delle correnti. Si possono sviluppare, infatti, notevoli velocità ed enormi volumi d’acqua nell’ordine di oltre 750.000 metri cubi /s per una corrente di 200 cm /s (Tomasino, 1995).

Gli autori [Vercelli e Picotti, 1926, n.d.a.]  rilevano che la diversa densità delle acque dei due Mari difficilmente miscibili determinano, tra l’altro, un vortice stabile a rotazione ciclonica centrato a nord dell’ingresso settentrionale dello Stretto, che è proprio il punto da dove parte la gara.

Passa l’inverno e non sappiamo ancora se ci hanno accolto l’iscrizione, ormai non ci speravo più quando una sera di maggio prima del nostro allenamento in piscina Michele, nel salutarmi, mi dice:

-C’hanno preso!

-Preso ‘ndove?-rispondo sorpreso-. Faremo lo Stretto, si sono liberati tre posti: avremo i numeri 98,99 e 100, pensa che fortuna, gli ultimi tre a disposizione.

 Ormai era fatta: non ci si poteva più tirare indietro, meduse o non meduse, squali o non squali, correnti o non correnti. Bisognava solo allenarsi e bene, come per fare una 10 Km anche se i chilometri erano…solo, cinque… e duecento metri.

Il lettore deve sapere che esistono nuotatori o atleti, che a sentir loro non si allenano mai. Sarà pure vero per distanze minori. Ma io non ci credo e diffido sempre di questi ciarlatani che dimostrano a volte una mancanza di serietà di tipo professionale, anche se siamo tutti dei dilettanti. Non si affrontano tali impegni sportivi senza allenamento, ne va della salute ed è pericoloso. In ogni tipo di competizione c’è sempre un rischio, anche se io sono convinto che quello più serio sia dato dal trasferimento, dagli incidenti stradali, per arrivare fin lì. Ma una persona ben allenata e prudente può comunque far star tranquilla la sua famiglia qualunque impegno intraprenda anche a sessantasei anni suonati [sono della classe 1946, n.d.a.]

Decido quindi di allenarmi con puntiglio, due volte la settimana con Mauro (nostro allenatore) al Forum e tre volte da solo su distante più .lunghe, variabili dai cinque ai sette Km. Mi faccio anche un programmino invernale di gare scegliendo, come al solito, le più lunghe, in vasca. E poi, con l’apertura a giugno delle gare in acque libere, scelgo di frequentare oltre alle cinque Km almeno una da 10, se mi potrò iscrivere.

Arriva il giorno fatidico. Le cose sono andate bene fino a questo momento: siamo ora sul piede  della partenza! Non ci sono problemi, sono tranquillo, ho svolto i compitini come dovevo. Prendiamo il treno(mia moglie Rossella ed io) che da Maccarese ci porta dalla Stazione Termini dove ci attende l’Eurostar; e ci mettiamo ad aspettare dopo aver verificato il nostro biglietto acquistato con internet.

Tutto bene, dicevamo? Non proprio! Seduto sulla panchina della stazione vado ad infilarmi gli occhiali da lettura e mi ficco una stanghetta in un occhio: “Ahi, che male!” E una. Mi si gonfia un po’ la parte interessata e già mi preoccupo se potrò indossare l’indomani alla gara gli occhialetti da nuoto, assolutamente indispensabili per un nuotatore di fondo. Ma questo è nulla! La morale comunque è: che ci vorrebbero un altro paio di occhiali per vedere di indossare correttamente gli occhiali…ma temo che il risultato non cambierebbe!

Arriva il nostro treno. A tutta prima ci appare un po’ stretto rastremato verso l’alto. Saliamo. L’aria condizionata forse non funziona granchè, c’è molta gente, ma il posto è comunque prenotato.

In carrozza, si parte!

Per un po’ va tutto liscio, almeno fino a Salerno. La compagnia è piacevole. Rossella conversa amabilmente con due gentili signore, di cui una giovanissima, graziosa e intelligente. Lavora per una società del nord ed è madre di un bambino che è costretto a lasciare alla sua di madre quando gira per l’Italia. E’ originaria della Sicilia, ove ora è diretta. E’ una ragazza molto brillante e sembra assai soddisfatta del suo lavoro e di quello di suo marito, funzionario di banca. L’altra credo fosse meno dotata culturalmente; è una bella signora con fattezze mediterranee, non magrissima, dignitosa, sorridente, che per educazione tace sempre quando gli altri decidono di prendere la parola. Anch’io ogni tanto m’intrufolo nel discorso, che sta per scivolare nella politica economica del governo Monti, che al di là, di un generico qualunquismo, non sembra accogliere molti consensi.

Il miei saltuari interventi in realtà tradiscono un mio nascente malessere per le oscillazioni laterali del Pendolino. Non volevo ammetterlo, ma mi stava terribilmente cominciando a far male “anche” il treno. Dico “anche”, perché come sanno chi mi conosce, a me fanno male tutti i mezzi di trasporto eccettuato l’aereo, mezzo che prediligo, anche se quest’ultimo mi dà un senso di claustrofobia ma unicamente a terra prima del decollo; quando sta su, ah che bello!

Per non farla troppo lunga la vera crisi di vomito inizia appunto a Salerno per finire a Villa San Giovanni, cioè all’arrivo. Un supplizio che non auguro a nessuno. Me le sono inventate tutte, sono arrivato perfino a contare le famose pecore, ben sapendo che così in genere fa chi non riesce a prendere sonno. Il treno era velocissimo, ma proprio  l’alta velocità faceva aumentare lo scuotimento delle vetture nelle numerose curve di quel tracciato impossibile. Il caldo prodotto dai passeggeri faceva probabilmente aumentare la temperatura dell’ambiente interno; la paura di non farcela, questa volta, non faceva che aumentare il mio senso di disagio. Che fare? Bere? Mangiare qualcosa? Provo a mangiare dei biscotti: il risultato lo lascio immaginare! Continuo a fare avanti ed indietro con la toillette, ma spesso è occupata da altri utenti. Non so come, ma dopo sei ore complessive –tre di vomito- il treno si ferma con una puntualità fortunatamente “sconcertante” alla stazione di Villa San Giovanni. Scendo dal treno “qual anima destinata all’inferno dantesco e anelante ad esservi traghettata da Caronte!” Perchè ci sono solo 40 gradi! Il problema vero nasce adesso. Ce la farò domani? Devo assolutamente mangiare qualcosa, bere, perché sono oltretutto disidratato. E due! E come tutti sappiamo, non c’è due senza tre! Ma quale sarà il tre? Non sarà proprio qualcosa inerente alla gara dell’indomani? C’è di che giustamente preoccuparsi. Ma che cavolo! andava tutto così bene…!? Ma quando la lotta si fa dura è lì che si vedono gli uomini veri. Ma non facciamo stupidaggini. Devo assolutamente verificare le mie condizioni generali dopo la super vomitata. Non riesco ad ingerire nulla perché perdura il senso di nausea che mi porterebbe a rigettare, lo avverto chiaramente. Tanto per cominciare, usciti dalla stazione, mi prende fortemente il desiderio di sdraiarmi, vale a dire, voglio andare al più presto in albergo, riposarmi, poi deciderò se prendere parte alla gara l’indomani: riflessione e prudenza; dopo tutto non me lo ha ordinato il dottore attraversare lo Stretto a nuoto.

Il “Boccaccio due”, dista circa tre Km dalla stazione e appena usciti ci avvediamo –qui Vincenzo aveva ragione- che non ci sono mezzi pubblici per l’albergo. Ma come per miracolo davanti a noi si era materializzata una macchina bianca, di cui non saprei precisare il tipo, con una targa esposta chiaramente con scritto: taxi. E qui Vincenzo, catastrofista, ha avuto, in ultima analisi torto. Però aspettate: e l’autista? L’autista non c’era. E qui Vincenzo aveva di nuovo ragione. Al suo posto seduti con una sediaccia a cavalcioni, c’erano due vecchietti, come al solito di età imprecisata, dai cinquanta agli ottant’anni. Non hanno molti denti, pochi capelli e tutti bianchi; sembravano fotografati tanto si muovevano poco per non affaticarsi; ma quando si sono accorti che eravamo interessati al taxi, con estrema cortesia (la cortesia è stata la caratteristica di queste genti per tutta la nostra permanenza a Villa San Giovanni), dandoci del Voi ci chiedono se cercavamo l’autista.

-Certo che lo cerchiamo- rispondiamo.

-Sta dormendo- fa uno dei due- Sa? era un po’ stanco; ma se volete, ve lo chiamo.

Confermiamo; e prende il telefonino per eseguire l’operazione relativa.

-Tra un quarto d’ora, viene, si sta vestendo, non abita lontano da qui.- risponde in un calabrese comprensibile anche ad un romano.

 E infatti nel tempo indicato da uno dei due “vecchietti”, l’autista si presenta; si scusa un po’. Ma non c’era  nulla di cui scusarsi, soprattutto con quaranta gradi a l’ombra.

In meno di dieci minuti siamo davanti all’albergo, paghiamo i 15 euro per la corsa (senza ricevuta, naturalmente), prendiamo il  numero di telefono dell’autista per assicurarci il ritorno. E finalmente, consegnati i nostri documenti, saliamo alla nostra camera. Essa si presenta più che decorosa, ma è un pensiero di un attimo: mi butto sul letto, per il mio recupero.

Dopo un po’ Rossella, che comunque non si mostra particolarmente preoccupata del mio stato, mi chiede se me la sento per la sera di andare a cena da qualche parte. Rispondo di sì:

-E’ necessario che io metta dentro dei carboidrati e beva, altrimenti non posso fare la gara, domani!

Ma prima devo andare a verificare la mia posizione nell’iscrizione e devo informarmi sulle modalità del sorteggio del Barcaiolo ( che comunque era stato già sorteggiato, come ho saputo inseguito, n.d.a).

Provo allora a mangiare una scatoletta di carne e va bene, senza problemi. Bevo un bicchiere con potassio e magnesio e va meglio…In poche parole: L’erba cattiva non muore mai: avevo recuperato a tempo di record! E’ incredibile come il fisico umano tiri fuori le sue risorse come da uno scrigno, un salvadanaio quando queste servono.

Decidiamo a quel punto, Rossella ed io, che dopo gli accrediti che mi forniranno nella sede stradale dell’organizzazione della gara, in via della Fata Morgana, di andare al ristorante del Boccaccio.  Si sono fatte ormai le sette circa.

Ricevo quindi tutte le informazioni per l’indomani e la mia iscrizione è a posto. Incontro anche Michele e Dario: baci e abbracci.

Ed eccoci diretti al ristorante. Nella relativa passeggiata fino alla sua localizzazione Rossella si entusiasma al panorama assai suggestivo dello Stretto: le sue navi traghetto che lo attraversano, perfino una immensa “Grimaldi” pronta a salpare con il suo carico di turisti per il Mediterraneo. Io cerco di leggere il percorso di gara. Da qui non sembra troppo complicato. Il mare sembra ovunque calmo, anche se si individuano qua e là delle strane contrazioni e talvolta una nebbiolina su alcuni punti. A veder meglio si potrebbe ravvisare il fenomeno ottico della Fata Morgana, che consiste nel veder rispettivamente dalla costa opposta, le città di Messina e Reggio, come sospese nell’aria, grazie ad un gioco di rifrazioni dovute ad un contrasto di temperature tra mare ed aria. Del fenomeno già mi ero interessato quando a Roma, nella mia ricerca sullo Stretto, era saltato fuori il nome della via dell’albergo che era da collegare probabilmente a questo noto fenomeno. Ma credo che sia, ora per me, solo suggestione; in realtà il fenomeno si propone dopo caduta di pioggia, come verrò a sapere poi, ma non tutti sono d’accordo con queste conclusioni. Mentre cammino non distolgo gli occhi dal mare e si possono individuare dei grossi Garofali in vari punti. A beneficio del lettore voglio spiegare, che un Garofalo è un vero e proprio gorgo che si forma dall’incontro di correnti opposte favorite dalla irregolarità del fondo. Essi si creano in punti specifici, per esempio con Corrente montante proprio tra Scilla e Cariddi, sede mitologica dei leggendari mostri, come ho accennato già.

Durante il nostro percorso troviamo l’insegna di un supermercato. Entriamo per fare la spesetta: per l’indomani decido di mettere in corpo 3000-3500 calorie. Nel pagare c’è un cordiale incontro con la cassiera. Una florida ventenne che con uno schietto sorriso mi chiede se sono venuto a fare lo Stretto. Annuisco. Mi fa gli “imbocca al lupo”. Dovrei dire: “Crepi!” Ma non lo dico mai. Povera bestia! Comunque ringrazio e le assicuro che tornerò vincitore.

Poi la cena. Perfetta. Un bel piatto di pasta al pomodoro, una bistecca, insalata e un pomodoro verdone. Alla fine avevo decisamente recuperato. Niente birra, solo acqua. Niente vino (non lo bevo). Rossella si strafoga di ottimo pesce, alla faccia della sua gastrite. La decisione è i-r-r-e-v-o-c-a-b-i-l-e: domani il numero 99 (novantanove) sarà alla partenza. C’è qualcosa che mi preoccupa? Forse il…tre, che potrebbe seguire già i verificati “uno” (la stanghetta nell’occhio) e il “due” (il mal di treno).

-Ma che sei superstizioso?

Ogni atleta  è un po’ scaramantico ed io non faccio eccezione. Per esempio, io non cambierei mai i miei occhialini da nuoto se non ci fosse un valido motivo, come una loro improvvisa rottura; altrettanto non farei con la cuffia o il costume;  quando devo salire sul blocco di partenza, giro sempre sulla sinistra ecc.


La gara.

L’appuntamento è in via della Fata Morgana per le nove. Occorre individuare il Barcaiolo già, come detto, precedentemente sorteggiato. Io sto con Giovanni, lo cerco ma non è ancora arrivato. Provo a telefonargli, ma sbaglio numero e chiamo un trafelato direttore di gara che sta organizzando il trasferimento a Capo Peloro dei concorrenti sulla costa messinese,  da dove prenderà il via la traversata. Mi dice che anche lui, Giovanni, ha cercato i numero 99, cioè me. Nell’attesa dell’incontro mi faccio apporre i numeri di gara sulle spalle e sulla schiena col pennarello, come da regolamento. Spalmo la vasellina sotto le ascelle e su altri luoghi del corpo interessati all’arrossamento con l’acqua di mare. Preparo una borsa leggera con asciugamano, ciabatte, una bustina di carboidrati. Finalmente incontro il mio barcaiolo. E’ un bel giovane di trentatré anni, bruno di media altezza. Che nella vita è graduato di finanza. Mi saluta cordialmente e mi presenta il suo gioiello: la sua barca da pesca entrobordo, un gozzo nuovo di zecca cui non è stato dato ancora il nome. Gli propongo il nome di sua madre o della sua fidanzata, che ben presto gli appare accanto. Una graziosa ragazza altrettanta bruna, dall’aspetto riservato, ma che si rivelerà, successivamente, molto in gamba ed estroversa. Lavora presso una grossa società con contratto a tempo indeterminato come commercialista a Reggio, si chiama Debora. Giovanni mi chiede se in barca viene anche mia moglie o c’ho qualche accompagnatore:

-No, mia moglie preferisce aspettarmi al traguardo.

-Bene, ti dispiace se porto la mia fidanzata in barca?- Mi chiede.

 La mia risposta non può che essere positiva.

Tutto è pronto, in una ventina di minuti siamo in Sicilia. Al centro dello Stretto la barca subisce un beccheggio notevole, segno che vi sono molti contrasti di correnti di difficile identificazione nella direzione in cui ci dirigiamo. Io cerco di “leggere” il mare che dovrò percorrere tra poco. Per ora non ne sono particolarmente preoccupato. Debora sta al fianco di Giovanni a poppa e siede in maniera composta tanto da sembrare un po’ timorosa. Tocchiamo la sponda siciliana. A questo punto Giovanni mi ripete una sua preoccupazione:

-Sarà difficile trovarti dopo la partenza. Ci sarà caos.

Gli dico di non preoccuparsi. Nuoterò verso l’esterno e poi:

-La tua barca è inconfondibile, è la più bella!

 Sorride. Sono sicuro che ci incontreremo appena si diraderà la calca iniziale.

Siamo a Capo Peloro, alla punta nord della Sicilia dove in mezzo a sparuti e attoniti gruppi di villeggianti sotto un immenso traliccio sta prendendo vita la 48° Traversata dello Stretto di Messina. Lo spettacolo è entusiasmante. Più di cento barche e yacht si dispongono davanti al pur nutrito gruppo dei concorrenti. Siamo in orario, anche in anticipo, ma non si può iniziare. Occorre rispettare i tempi della Corrente Discendente prevista per le ore 11 per non rischiare di averla contro; occorre poi attendere l’OK della Capitaneria di porto che deve bloccare il traffico delle navi per circa un’ora.

Il percorso prevede, dopo la traversata vera e propria di circa 3200 metri, una virata a 90° alla prima boa di Cannitello, frazione di Villa San Giovanni, situata a cinque metri dalla costa, bisognerà allora gridare ai giudici il proprio numero; poi proseguire lungo costa per altri mille metri stando fuori delle boe rosse che segnano il limite di sicurezza per i bagnanti; il tutto per un totale di 5200 metri.

Siamo ormai prossimi al via. I giudici di gara fanno la spunta e controllano i costumi di gara: si possono indossare i costumoni ma non possono essere in poliuterano come in precedenti edizioni ammessi; né avere cerniere o gancetti, ribadiscono.

Ultimate queste operazioni si attende il fischio roco della trombetta. Lo spettacolo è grandioso. Barche, barchette, barconi, yacht; concorrenti accalcati, pubblico sparso sulla riva.

Sono anch’io concentrato e pronto a guadagnare il lato sinistro del mare in prossimità dell’ala di imbarcazioni tra cui ci sarà anche quella contrassegnata col numero 99. Il tempo sembra sospeso e c’è spazio per le mie fantasie. Immagino quello che avrebbe dipinto il Guardi, con la sua pennellata fedele grazie alla camera ottica, densa e nervosa. Avrebbe senz’altro realizzato uno scenario grande con ampia prospettiva e popolato di uomini e mezzi nautici in atto di muoversi. Non già un ritratto pittorialista e ben più fedele alla realtà fotografica ma più asettico del suo grande contemporaneo Antonio Canal. E forse dal cielo si sarebbe fatto avanti Giacomo Balla rappresentando i protagonisti,  nuotatori,  barche,  mare, uno dentro l’altro in un reciproco compenetrante movimento, ossessivo e bianco-rosso-verde.

Ma il tempo è scaduto. Il mare ribolle: di bracciate, di eliche, di respirazioni, di battute di gambe, di voci lontane, di voci interiori. E’ così, la gara della Traversata dello Stretto. Forse gli unici a tacere, nel profondo di quell’abisso sono proprio gli aventi diritto, i pesci; pesci piccoli, pesci grandi; e le navi costrette per un po’ a ritardare la loro partenza. Ma oggi siamo noi i protagonisti: i figli di Ulisse, che come per vendicarlo delle sue peripezie, percorriamo quello stesso tratto di mare con l’aiuto delle sole braccia, sfidando Scilla e Cariddi, mostricciattoli che ora potrebbero fare da protagonisti solo in un film di Hollywood o in un cartone animato.

Cerco di produrre un buon ritmo di bracciate per togliermi il prima possibile dalla calca. Con sorpresa riesco a mantenermi nel grosso del gruppo per lungo tempo. Non sono per nulla preoccupato di non trovare la mia barca, seguo quelle degli altri come mi ero ripromesso. Il mare è fortemente increspato in preda a correnti contrastanti; sembrano a volte contrarie, altre laterali o di tre quarti, ma mai favorevole. Stiamo nuotando verso nord, la boa di Cannitello è lontana e non si può certo vedere, occorre affidarsi alla propria magnetite. Mah, sapete? i nuotatori di fondo -è una mia teoria- sono un po’ come gli uccelli che si orientano avendo i punti cardinali nel cervello grazie a questo dispositivo naturale che permette loro di trovare sempre il nord; ma forse è una leggenda inventata da me.

Finalmente dopo non molti minuti Giovanni si sbraccia, non c’è dubbio è la barca 99 ben visibile: mi ha trovato. Sono a posto, basterà seguirla almeno fino a Cannitello dove la Traversata vera e propria virtualmente si concluderà; dopo ci sarà ancora un costa costa di poco più di 1000 metri, in favore di corrente.

Il mare si increspa sempre di più soprattutto al centro dello Stretto. Giovanni si sbraccia continuamente e mi invita a stargli vicino. Io mi metto di fianco cercando di neutralizzare la risacca. Per ora comunque non ci sono problemi particolari se non quelli presenti in ogni gara di questo tipo. Sto smentendo il proverbio: non c’è due senza tre. Ma è così. E le famigerate meduse? Non esistono, ci sono state fino a tre-quattro giorni prima, ora il mare ne è completamente sgombro. Non ci sarà il tre!

Al centro, dicevo, il mare è piuttosto turbolento. La barca oscilla di prua clamorosamente; Debora è silenziosa e sempre più compostamente seduta. Io accorcio la bracciata e ne aumento il numero per stare di più sull’onda per evitare di bere ed eccessive oscillazioni della testa che potrebbero produrre il mio cronico mal di mare. Il tempo passa, lo spazio si abbrevia; provo a tirar fuori il capo e vedo ormai la costa vicina:

-Dai che ce la fai! anzi ce l’hai fatta! Tra poco sarà tutto più facile. Sembra proprio così.

Ad un certo punto Giovanni mi indica la boa di virata di Cannitello; sulla destra svetta il campanile del Santuario della Madonna delle Grazie a Pezzo. Era un punto di riferimento che bisognava prendere. Viro correttamente lasciando la boa alla mia destra e gridando il mio numero ai giudici di boa, inconfondibili nella loro divisa bianca. Mi accerto che mi annotino il numero e poi mi butto a capofitto verso l’arrivo. Sto nuotando a non più di cinque sei metri dalla costa sulla linea di sicurezza dei bagnanti e Giovanni, che nel frattempo mi ha di nuovo raggiunto essendosi attestato in precedenza a distanza consentita, dalla costa, mi invita a venire un po’ più fuori. Gli ubbidisco a malincuore, essendo quella striscia di mare assai calma, anche se temevo ci potessero essere proprio per questo delle meduse.

Sto volando, sono velocissimo, riprendo qualche concorrente, innesto la quinta, riesco a respirare non solo ogni tre bracciate come è normale per me, ma addirittura ogni cinque; riuscendo a sfruttare maggiormente, tenendo aria più a lungo nei polmoni, il fattore galleggiamento. Sento di avercela fatta, nessuno, niente mi potrà fermare! Ma ne siamo sicuri? Ma non sei tu che dici sempre: “Le gare non si vincono mai prima, nè durante, ma dopo che si è schiaffeggiato lo striscione di arrivo ed è stato emesso il verdetto finale del giudice”? Sì sono io. Resto di questo parere e me ne dovrò ricordare sempre anche in seguito. In pratica che era successo? Era successo che a cinquanta metri dal traguardo, nel punto dove si doveva virare tenendo la boa rossa a sinistra ed entrare nel porticciolo dove era posto il traguardo, chissà perché, forse per stare dietro ad un gruppetto di nuotatori che stavo attaccando alla grande, mi sono allargato di tre-quattro metri e risucchiato da un diabolico Garofalo di discrete dimensioni presente nei paraggi. Il risultato è che tutti abbiamo ricevuto un vero e proprio schiaffo dal mare che ci ha fatto superare esternamente la linea del traguardo al di là degli scogli per almeno una ventina di metri. A quel punto accortomi dell’errore provo a far macchina indietro ma resto immobilizzato dalla corrente che cammina ad una velocità nettamente superiore a me. Che fare? Eccolo il numero tre! E poi dite che i proverbi non sono veri! Per fortuna mi viene in soccorso dalla riva uno degli organizzatori che urla e si sbraccia all’inverosimile indicandoci chiaramente di venire vicino agli scogli. Così faccio. Lì la corrente sembra parzialmente annullarsi. Riesco a tornare indietro nuotando lungo la scogliera fino all’imbocco del porticciolo e quindi girare con successo. Davanti trovo chiaramente lo striscione. Mordo l’acqua con la bracciata, sono arrabbiato, supero qualcuno e picchio forte con la mano sinistra (che è quella che uso all’arrivo per scaramanzia). Questa volta è fatta davvero! Occorre, d’accordo, aspettare il responso dei giudici e la classifica, ma sono sicuro di aver fatto le cose regolari e di essermelo meritato questo “Stretto” come in effetti risulterà successivamente dalla classifica ufficiale.

All’arrivo ancora un po’ ansimanti mi stanno ad aspettare i miei amici Dario e Michele, mi fanno i complimenti; mi dicono che sono andato bene; non so se mi stanno affettuosamente prendendo in giro o sono andato bene davvero. Dico semplicemente che il merito è tutto del mio barcaiolo che mi ha saputo guidare alla grande e devo andare subito a ringraziarlo. Mi sento bene, molto bene, fisicamente; non sono stanco per nulla. Le vomitate del viaggio precedente sono solo un ricordo. Mi meraviglio di me. Del resto sto studiando da Anunnachi, che per chi non lo sapesse sono quelli che all’origine dei tempi discesero dal  cielo sulla terra provenienti dal pianeta Nibiru e vivevano migliaia di anni [vedi le opere di Zecharia Sitchin, n.d.a.]

Esco Dall’acqua circondato dall’affetto dei miei due compagni di squadra e del grande Graig che trovo più avanti. Devo ora cercare Rossella e rassicurarla che sono arrivato e poi devo trovare Giovanni per ringraziarlo della sua guida “virgiliana”. La prima che incontro è mia moglie che sta amabilmente conversando con una signora, credo a sua volta moglie di qualche altro concorrente. Esordisco dicendo:

-Se non hai ancora intenzione di “divorziare” per le attese che ti procuro, ti comunico che io sono arrivato; ora vado a cercare Giovanni perché voglio ringraziarlo, invitarlo a pranzo.

Mi allontano salutando il piccolo crocchio che si era naturalmente formato. Faccio una cinquantina di metri e vengo praticamente fermato e salutato da una bella ragazza bruna con vistosi occhiali da sole scuri.

-Ciao Massimo, come stai?

 Vedendo che non la riconoscevo (come è noto io non sono fisionomista, eredità, questa volta, materna), mi fa:

-Ma come non mi riconosci? sono Debora!

- Oh,  Santiddio! con gli occhiali da sole non ti avevo riconosciuto!

 Era  la fidanzata di Giovanni, che grezza! Ma mi riprendo subito, segno anche che sono lucido, dopo tutto. --Sai Debora? è proprio te che cercavo, volevo invitarvi a pranzo per ringraziarvi di tutto, Giovanni dov’è?

-Sta più avanti ad ormeggiare la barca.

 La sua risposta si era mostrata indecisa e sarebbe stato meglio avere rivolto l’invito prima a lui. Avrei dovuto giocare d’anticipo. La saluto e saluto rispettosamente anche le persone con cui si intratteneva e che naturalmente non potevo conoscere. Procedo più avanti e finalmente dopo qualche centinaio di metri vedo Giovanni che ha appena attraccato il suo gozzo all’ormeggio del porticciolo; anzi lo sta cominciando ad issare con l’aiuto di un argano e di un carrello adatto ad entrare in acqua ed imbracare la barca piuttosto pesante. Lo aiuta un signore anziano, piccolo di statura, asciutto nel fisico, che sembra assai soddisfatto di quell’aiuto che gli si sta fornendo. Scendo quindi dal lungomare ancora gremito di gente in attesa degli ultimi concorrenti, mi faccio strada tra la sabbia e i sassi e raggiungo Giovanni. Gli dico a bruciapelo:

-Tutto a posto, ti volevo ringraziare della tua guida e assistenza. Di rimando mi presenta quel signore che poi era suo padre, vecchio pescatore e muratore rifinito, esperto in rifacimenti di facciate, come si affretta a dire una terza persona, un loro amico, che era intervenuto ad aiutare la messa in sicurezza della barca. Della maestria del padre di Giovanni, ne era testimonianza proprio la facciata della sua palazzina antistante il mare, di cui effettivamente si poteva cogliere un fine gusto nelle rifiniture color beige. Gli rinnovo l’invito che avevo fatto a Debora poco prima e finisce con l’accettarlo dopo qualche timida titubanza.

-Ci vediamo al ristorante del Boccaccio, allora…facciamo per le tredici.

 Siamo d’accordo.

Per la strada che ci separa dall’albergo, incontriamo il supermercato cui già avevamo fatto visita in precedenza per acquistare cibarie per il giorno dopo, quello previsto per il rientro: qualche affettato, della mozzarella, del pane, da bere, ecc. Nel pagare la cassiera mi riconosce e mi fa:

-Allora come è andata, ha vinto?

-Certo che ho vinto, te l’avevo detto!- rispondo deciso.

 La ragazza mi sembra incredula, ma è sorridente,  contenta per me; e come per riprendersi da una gaffe che non esisteva, mi risponde di getto:

-Gielo avevo detto che le avrei portato fortuna!

-Ne ero sicuro! dico garbatamente.

Paghiamo e ci salutiamo come vecchi conoscenti promettendo che un giorno saremmo ritornati.

Dopo aver a mia volta raggiunto l’albergo che dista poche centinaia di metri, mi faccio una rapida doccia, mi riposo un po’ e quindi insieme a Rossella scendo di nuovo in strada e raggiungiamo il vicinissimo ristorante. Saliamo, annunciamo al proprietario che abbiamo ospiti, che subito dopo ci raggiungono puntuali. Il pranzo è naturalmente a base di pesce dello Stretto: beati loro che riescono ad apprezzarlo; io me ne sto col mio solito piatto di pasta al sugo di pomodoro (ottimo),bistecchina ben cotta, pomodoro spaccato con mozzarella accompagnato da insalatina di stagione. Il vino non lo vuole nessuno, ma ne facciamo portare un po’ per non fare torto alla casa. L’olio sì, quello lo chiedo io che ne sono un appassionato; e me ne portano una bottiglietta locale di ottima qualità.

Il pranzo procede serenamente e come succede a tavola, si ha occasione di stringere amicizia e conoscersi un po’ di più. Giovanni ci parla della sua passione per il mare e per lo Stretto e di provare grande nostalgia quando sta fuori in servizio per il Mediterraneo. Debora, che si mostra una ragazza sobria quanto si vuole ma emancipata, invece riferisce degli imbrogli fiscali che a volte ci sono nelle grandi aziende. Certo non mi dà l’impressione di immaginarla in finestra, quando sarà vecchia, a celarsi dietro la vista dei passanti vestita di nero e con un fazzoletto in testa.

Finito il desinare, ci scambiamo i numeri di telefono e ci diamo appuntamento per futuri nuovi incontri qui a Villa San Giovanni o a Roma qualora decidessero di venire un giorno. Come ultima cortesia Giovanni si offre per farci visitare Reggio, ma ringraziamo e decidiamo altrimenti, anche perché nella serata ci sarà la festa di premiazione alla piazzetta, con tanto di complesso ed ospiti. Ci salutiamo affettuosamente e risaliamo in albergo. Ancora una doccia (il caldo è soffocante), ci cambiamo maglietta e ci indirizziamo a cercare una farmacia per prendere del travelgum, contro il mal di treno: è bene cominciare a pensare al viaggio di ritorno dell’indomani, non so se sopporterei un’altra vomitata gigante come quella del sabato prima.

La passeggiata è comunque piacevole e ci dà modo di vedere questa cittadina, un tempo borgo di pescatori e agricoltori, ricostruita ex novo dopo il disastroso terremoto-maremoto, del 1908. Sarà bene ricordare al lettore gli eventi che sconvolsero la città di Messina e i comuni dello Stretto, tra cui Villa San Giovanni, a causa di un evento sismico considerato il più grave verificatosi nel nostro Paese. Alle ore 5,21 del 28 dicembre del 1908, Messina, Reggio, e tutti i paesi o borghi dello Stretto, furono sconvolti da un fenomeno valutabile intorno al 10° grado della Scala Mercalli (8 Richter). Messina ebbe 80.000 morti, Reggio 15.000; il 90 per cento degli edifici furono distrutti e così tutti quelli pubblici, con tutto quello che potete immaginare per ciò che riguarda la situazione dei feriti, soccorsi (mille marinai soccorritori morti), ecc. Villa San G

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